La banda

Bikur Hatizmoret

Tra l'Egitto e Israele un altro mondo è possibile. Dolce e malinconico come una fiaba l'esordio al cinema di Eran Kolirin

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FRANCIA 2007
Una piccola banda musicale della polizia di Alessandria d'Egitto viene invitata in Israele per esibirsi durante la cerimonia d'inaugurazione di un centro culturale arabo. Per una serie di circostanze, i musicisti non vengono accolti da nessuno all'aereoporto quindi tentano di cavarsela da soli e di raggiungere la destinazione con un pullman. Tuttavia, per una incomprensione linguistica, si ritrovano in una città sperduta nel deserto israeliano, isolata e dimenticata da tutto e tutti, proprio come loro...
SCHEDA FILM

Regia: Eran Kolirin

Attori: Sasson Gabai - Tewfiq, Ronit Elkabetz - Dina, Saleh Bakri - Haled, Khalifa Natour - Simon, Imad Jabarin - Camal, Tarak Kopty - Iman, Hisham Khoury - Fauzi, François Khell - Makram, Eyad Sheety - Saleh, Shlomi Avraham - Papi, Rubi Moscovich - Itzik, Hila Surjon Fischer - Iris, Uri Gavriel - Avrum, Ahouva Keren - Lea

Sceneggiatura: Eran Kolirin

Fotografia: Shai Goldman

Musiche: Habib Shehadeh Hanna

Montaggio: Arik Lahav Leibovitz

Scenografia: Eitan Levi

Costumi: Doron Ashkenazi

Altri titoli:

The Band's Visit

La visite de la fanfare

Durata: 90

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)

Produzione: JULY-AUGUST PRODUCTIONS, BLEIBERG ENTERTAINMENT, SOPHIE DULAC PRODUCTIONS

Distribuzione: MIKADO (2008), DVD: DOLMEN HOME VIDEO (2008)

Data uscita: 2008-03-21

NOTE
- PREMIO FIPRESCI E PRIX DE LA JEUNESSE AL 60MO FESTIVAL DI CANNES (2007) NELLA SEZIONE "UN CERTAIN REGARD".
CRITICA
"Poteva nascerne un dramma in chiave neorealista, il resoconto di uno scontro interetnico dove la diversità razziale diventava ostilità e anche peggio. E invece Kolirin (a cui si deve anche la sceneggiatura) smorza qualsiasi elemento di tensione per raccontare tutto con la sospensione un po' incredula dell'osservatore 'oggettivo' ma anche con la partecipazione emotiva del sottile umorista. Scomponendo l'azione in tante piccole scene chiuse in loro stesse, dove i silenzi sono importanti almeno quanto le (poche) parole, la regia utilizza a proprio favore il tema della difficoltà di comunicazione tra ebrei ed egiziani facendone la chiave del suo approccio alle cose: un intreccio di lingue che sottolinea il bisogno di 'mettere da parte' la propria identità nazionale, una distanza verso l'altro, che diventa immediatamente curiosità, un gioco di silenzi che nasconde (nemmeno troppo) gli stessi stati d'animo e delle emozioni." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 21 marzo 2008)

"Il regista ebreo Eran Kolirikin racconta il breve incontro notturno di due anime perse tra ironia e intimismo, spesso rivelando un gusto per la folgorante sintesi della vignetta e chiudendo questo film insolito e commovente con l'arcigno militare che intona in concerto una nenia intrisa di malinconia esistenziale."(Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 21 marzo 2008)

"Una storiella fatta di niente, che invita alla tolleranza e all'amicizia, con attori bravi e sconosciuti. P.S. Del concerto ascoltiamo poche note: meno male, era micidiale." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 21 marzo 2008)

"Il regista Eran Kolirikin ha un tocco leggero e compassionevole, e riesce con maestria a tenere scene fatte di lunghissimi e imbarazzanti silenzi, in particolare quelli tra la disinibita e triste Dina,m padrona del ristorante dove la banda trova riparo, e l'ufficiale direttore.(...) 'La banda' è un film commovente, intelligente, divertente, un film che richiama in un solo gesto sia i dialoghi stralunati di Kaurismaki, che le atmosfere sospese di Jarmush, con un pizzico di impossibile Fellini. Fate il passa parola, lo merita." (Dario Zonta,
'L'Unità', 21 marzo 2008)

"Film commovente, giocato su un tipo di comicità simile alle astrazioni fredde e surrealmente realistiche di Aki Kaurismaki, conferma la vitalità controcorrente delle nuove generazioni di cinema in Israele desiderose di uscire dalla gabbia del conflitto per plasmare un immaginario duttile e liberato." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 21 marzo 2008)