JOHNNY ENGLISH

GRAN BRETAGNA 2001
Il famoso British Secret Service è alle prese con un caso spinoso: un improbabile piano per rubare i gioielli della Corona. Della missione viene incaricato il più dotato degli agenti che, però, viene eliminato in circostanze misteriose. Non solo, ben presto viene raggiunto da quasi tutti i suoi migliori colleghi. Nell'ora del pericolo le sole chances del M17 sono affidate al più imbranato degli agenti segreti, Johnny English, chiamato a proteggere il Paese, vendicare i colleghi morti e scoprire la misteriosa mente che ha architettato il furto dei gioielli della Corona.
SCHEDA FILM

Regia: Peter Howitt

Attori: Rowan Atkinson - Johnny English, John Malkovich - Pascal Sauvage, Natalie Imbruglia - Lorna Campbell, Ben Miller - Bough, Douglas McFerran - Vendetta, Tim Pigott-Smith - Pegasus, Kevin McNally - Primo Ministro, Radha Mitchell

Sceneggiatura: William Davies, Neal Purvis, Robert Wade

Fotografia: Remi Adefarasin

Musiche: Harry Gregson-Williams

Montaggio: Robin Sales

Scenografia: Chris Seagers

Costumi: Jill Taylor

Effetti: Double Negative

Durata: 111

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Produzione: WORKING TITLE FILMS

Distribuzione: UIP

Data uscita: 2003-04-11

CRITICA
"Si sa com'è questo comico inglese imbranato, stralunato, inetto, distratto: o piace oppure non si sopporta. E' irresistibile nella parte di un piccolo impiegato dei servizi segreti costretto a fermare il corrotto affarista John Malkovich, in un film ispirato a certi spot televisivi di Atkinson per la pubblicità delle carte di credito". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 11 aprile 2003)

"Un dubbio: che senso ha fare parodie di James Bond, quando 007 è già diventato, con i suoi gadget, le sue imprese iperboliche, la sua aria da sciupafemmine un po' appannato la parodia di se stesso? Forse è per questo che 'Johnny English' si crede in dovere di esagerare e sceglie, per mettere in burla il vecchio agente segreto, quella specie di cartoon vivente che è Rowan Atkinson, alias Mr. Bean, concentrato di tutte le sfighe e di tutte le inettitudini che si possano attribuire a un eroe a-contrario". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 12 aprile 2003)

"Gli sceneggiatori, Neal Purvis e Robert Wade, sono gli stessi del Bond 'serio' (hanno firmato anche 'La morte può attendere'). Ciò non toglie che le gag del film siano quelle classiche per famiglie; non superando, in pratica, l'età mentale di un dodicenne: vedi la pistola puntata da Johnny, che immancabilmente si sfascia o lascia cadere il caricatore. Se il comico è, come dice Freud, risparmio di pensiero, questa Pasqua gli italiani hanno risparmiato molto". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica, 26 aprile 2003)

"Ci hanno tolto Stanlio e Ollio, Totò, De Funés e Jerry Lewis. Teniamoci stretto questo epigono british, ottimo parodista che questa volta ha tolto la maschera di Mr. Bean e ha indossato lo smoking di 007, con uno strillo promozionale efficace e veritiero: 'Non sa cosa sia la paura; non sa cosa sia il pericolo; non sa... niente'. Quando bacia la English Girl (sta per Bond Girl) sulla Aston Martin superaccessoriata schiaccia inavvertitamente il bottone dell'espulsione del sedile, e la manda in orbita. Si può andare avanti a raccontare così questa baraonda di equivoci ed errori scritta da due competenti sceneggiatori di 007. Divertente, qualche volta ripetitivo, mette di buon umore davanti all'insensatezza delle neo-tecnologia". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 12 aprile 2003)

"Rowan Atkinson, il popolare Mr. Bean, arriva buon ultimo a fare la parodia di James Bond (che ormai si prende in giro anche da solo), iniziata in tempi non sospetti da Franco e Ciccio e da Buzzanca James Tont. (...) E' la solita storia del più scemo degli 007, ma Atkinson, che si comporta da cartone animato e infila gag una più mediocre dell'altra, non è il Peter Sellers della 'Pantera Rosa' e bisognerà che qualcuno lo avverta, mentre il povero e distratto Malkovich non si sa come si sia fatto incastrare in questo pastrocchio. L'unica premonizione è la rivalità Francia - Inghilterra: ma questa è un'altra storia".(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 aprile 2003)