Hannah Arendt

4/5
Nitido nelle luci, lucido nelle psicologie, convincente negli esiti: Margarethe Von Trotta rilegge La banalità del male

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GERMANIA 2012
Nel 1940, la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt fugge con il marito e la madre dagli orrori della Germania nazista e, grazie all'aiuto del giornalista americano Varian Fry, si trasferisce negli Stati Uniti. Divenuta tutor universitario e attivista della comunità ebraica di New York, Hannah inizia a collaborare con alcune testate giornalistiche, tra cui il New Yorker che la invia in Israele per seguire da vicino il processo contro il funzionario nazista Adolf Eichmann. Da qui Hannah prenderà spunto per scrivere il libro "La banalità del male", un testo che susciterà molte controversie...
SCHEDA FILM

Regia: Margarethe von Trotta

Attori: Barbara Sukowa - Hannah Arendt, Axel Milberg - Heinrich Blücher, Janet McTeer - Mary McCarthy, Julia Jentsch - Lotte Köhler, Ulrich Noethen - Hans Jonas, Michael Degen - Kurt Blumenfeld, Nicholas Woodeson - William Shawn, Victoria Trauttmansdorff - Charlotte Beradt, Klaus Pohl - Martin Heidegger

Sceneggiatura: Pam Katz, Margarethe von Trotta

Fotografia: Caroline Champetier

Musiche: André Mergenthaler

Montaggio: Bettina Böhler

Scenografia: Volker Schäfer

Arredamento: Petra Klimek

Costumi: Frauke Firl

Durata: 114

Colore: B/N-C

Genere: BIOGRAFICO DRAMMATICO

Specifiche tecniche: RED EPIC, CINEMASCOPE

Produzione: HEIMATFILM IN COPRODUZIONE CON AMOUR FOU LUXEMBOURG, MACT PRODUCTIONS, SOPHIE DULAC PRODUCTIONS, METRO COMMUNICATIONS, ARD DEGETO, BR, WDR

Distribuzione: RIPLEY'S FILM E NEXO DIGITAL (2014)

Data uscita: 2014-01-27

TRAILER
CRITICA
"La critica giapponese lo ha messo tra i dieci migliori film dell'anno, e sul New York Times lo hanno definito: «Un film ardente, che si avrebbe voglia fosse una miniserie per prolungare il piacere della visione». Ha una giusta punta d'orgoglio nella voce quando lo dice, e gli occhi che brillano, Margarethe Von Trotta. Eppure questo suo 'Hannah Arendt' in Italia non ce l'avrebbe mai fatta a uscire in sala (...) senza l'energia di una piccola distribuzione indipendente, la Ripley's che lo distribuisce in versione originale - fondamentale per capire il lavoro sull'accento fatto dalla protagonista, Barbara Sukowa, icona della cineasta, nel dare vita alla filosofa tedesca. Una storia di donne possiamo anche dire, in affinità a quei personaggi femminili di intelligenza rivoluzionaria e disturbante - in un mondo maschile - che abitano il cinema di Von Trotta: tra le altre Rosa Luxemburg, Hildegard von Bingen, o le sorelle di 'Anni di piombo', perché Von Trotta come molto cinema tedesco della sua generazione (penso a Fassbinder) ha scavato dentro al terrorismo nel suo paese senza retorica né enfatici imbarazzi bugiardi. Lei sorride, e racconta di quando girando alcune scene in Lussemburgo, nell'ufficio del rettore dell'Università, questi le abbia detto: «Non ho mai sentito muovere rimproveri e accuse a colleghi maschi come quelli scagliati contro Arendt». La definirono senza sentimento, fredda, dura. Arrogante, persino nazista, lei che era ebrea, finita nei campi, e sfuggita quasi per azzardo alla deportazione e allo sterminio. Per non dire delle «gentili» missive con aggettivi più comuni quando si parla di donne, puttana in testa. Siamo nel 1960, a New York, dove Arendt vivrà fino alla morte, nel 1975. Il periodo che Von Trotta, e la co-sceneggiatrice del film Pamela Katz hanno scelto per il film, è quando la filosofa accetta la proposta del New Yorker di coprire per loro con una serie di articoli il processo in Israele al nazista Adolf Eichmann. Arendt a differenza di altri vuole capire cosa è accaduto, le ragioni e le modalità. E anche altro, perché ad esempio, il suo maestro Heidegger si era messo dalla parte dei nazisti. (...) vedendo la 'Hannah Arendt' di Von Trotta, non stupisce la passione di Sivan, tra i registi israeliani più lucidi e pure più detestati in Israele, per lei. Anche di Sivan dicono che è arrogante e pieno di disprezzo perché nei suoi film rifiuta l'ideologia della vittima, elemento fondante la mitologia dello stato ebraico. Nel suo nuovo film, 'Le Dernier des Injustes', il regista francese Lanzmann riprende in mano una lunga intervista, realizzata nel '75 a Roma, con Benjamin Murmelstein, il rabbino che nel '44 è stato il responsabile del Consiglio ebraico nel ghetto di Terezina, e tra i pochissimi sopravvissuti. Murmelstein, e con lui Lanzmann, parla con disprezzo di Arendt dicendo che non aveva capito nulla, eppure ascoltando quella zona di ambiguità implicita - o forse necessaria - nel suo operato le considerazioni di Arendt appaiono estremamente precise." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 16 gennaio 2014)

"Arendt vs Eichmann. Ovvero la genesi de 'La banalità del male'. Su questa, infatti, poggia la trama del nuovo lavoro della cineasta tedesca incentrato sulla filosofa/teorica della politica che tanto divise l'opinione negli anni 60, specie nella comunità ebraica. Inviata spontanea del New Yorker a Gerusalemme per il celebre processo Eichmann del '63, realizzò che l'ex SS 'non era un demone, ma un uomo qualunque che aveva rinunciato a pensare, cioè ad essere un Uomo'. Da qui 'La banalità del male', tra i saggi più controversi del '900. II racconto della von Trotta è limpido e mai 'banale', considerando la difficoltà di mettere-in-film il pensiero filosofico nel suo farsi. Sukova perfetta nei panni di una Arendt tormentata e caparbia." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 6 febbraio 2014)