Dolce Emma, cara Bobe

Édes Emma, drága Böbe - vázlatok, aktok

UNGHERIA 1992
Emma e Bobe, due ragazze della provincia, insegnano russo in una scuola elementare di Budapest. Dopo la caduta del regime comunista la lingua russa non è più materia obbligatoria nelle scuole e per poter continuare ad insegnare Emma e Bobe sono costrette a frequentare dei corsi serali di inglese. Ogni mattina trasmettono ai propri allievi ciò che hanno imparato la sera prima. Emma, per garantirsi un livello di vita accettabile, lavora come domestica presso una famiglia agiata mentre Bobe sceglie una strada diversa: frequenta locali notturni e si prostituisce. Emma è innamorata del preside della scuola e il loro rapporto dura da più di un anno ma lui è sposato, ha dei bambini e non vuole divorziare. Si tratta dunque di un rapporto senza futuro.
SCHEDA FILM

Regia: István Szabó

Attori: Johanna ter Steege - Emma, Enikö Börcsök - Bobe, Péter Andorai - Stefanics, Éva Kerekes - Sleepy, Erzsi Pasztor - Insegnante, Hedi Temessy - Maria, Erzsi Gaal - Signora Horvath, Irma Patkos - Paziente, Zoltán Mucsi - Szilard, Irén Bódis - Madre di Emma

Soggetto: István Szabó, Andrea Vészits

Sceneggiatura: Andrea Vészits, István Szabó

Fotografia: Lajos Koltai

Musiche: Gyorgy Kovacs (II), Tibor Bornai, Fero Nagy, Mihaly Moricz

Montaggio: Eszter Kovacs

Scenografia: Attila Kovacs

Costumi: Zsuzsa Stenger

Altri titoli:

Sweet Emma, Dear Boebe - Sketches, Nudes

Dear Emma, Sweet Böbe

Durata: 95

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: NORMALE A COLORI

Produzione: OBIECTIV STUDIOS (BUDAPEST)

Distribuzione: ACADEMY PICTURES - PANARECORD

CRITICA
"Si tratta di un film ingiustamente sfortunato: nel febbraio '92 fece un grande effetto e suscitò un uragano di applausi al FilmFest di Berlino ma in sede di premiazione la solita giuria scriteriata, presieduta da Annie Girardot, gli preferì l'americano 'Grand Canyon'. Né i soloni della Berlinale poterono assegnare il premio per la migliore interprete a Johanna Ter Steege, un volto di donna che sembra ritagliato da un'immagine di Bergman: essendo olandese, infatti, era doppiata in ungherese e quindi fuori gara. (...) Ma ciò che conta è la qualità poetica del film, il rigore dello stile, la pietà con cui l'autore sa raccontarci i suoi personaggi." (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 31 agosto 1993)

"Nell'Ungheria di oggi, ci dice Istvan Szabo in un film asciutto semplice e forte, la confusione dei valori, la delusione, il troppo subitaneo rovesciamento dei punti di riferimento giustifica tutto, complica il presente, e lascia intravvedere un futuro sgradevole. Le due ragazze Bobe e Emma (che è la straordinaria Johanna Ter Steege di 'Vanishing' e di 'Le tentazioni di Venere') vengono dalla campagna. Fino a ieri insegnavano russo. Oggi sono costrette dagli eventi della storia a imparare la sera l'inglese che insegneranno il mattino dopo ai loro allievi." (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 14 settembre 1993)

"Toni dimessi, anche se, appunto, si pensa a un reportage, modi nitidi, con quell'approccio al reale che era tipico dei primi film di Szabò, con un ritratto preciso non solo delle due protagoniste, ma anche di tutti quelli che vi si avvicendano attorno: per arrivare a fare il punto sia su un momento ben radicato nell'oggi sia sulla sua cornice, un'Ungheria mai così desolata ed amara. Il primo film di un grande autore dopo la caduta del Muro, una riflessione che preoccupa, una voluta assenza di ricerche nello stile perché arrivi intatta proprio questa riflessione: alla maniera quasi del nostro Neorealismo, che non si curava delle immagini perché sentissimo più intensi i temi che proponeva. Consiglio la visione agli storici, ai sociologi e, naturalmente, ai cinefili. Avere Szabò come guida nel disagio di un ex Paese comunista è un evento da non sottovalutare. Fra gli interpreti segnalo soprattutto Johanna Ter Steege, già vista in 'Vanishing' e nelle 'Tentazioni di Venere': la sua Emma, sia nelle avversità sia negli amori ostinati e difficili, è cesellata con finezza rara; coinvolgendo a tratti fino all'angoscia." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 18 settembre1993)