Il premio "sòla" della dodicesima Festa del Cinema di Roma viene assegnato di diritto a Trouble No More di Jennifer Lebeau. Sulla carta un film concerto con parti di fiction per ricordare la svolta cristiana del grande Bob Dylan, databile tra il 1979 e il 1981 ed espressa da album come Slow Train Coming (1979) e Shot of Love (1981). In pratica sessanta minuti fatti di brani gospel dal vivo (ripresi durante il tour di Dylan del '79-'80) del menestrello di Duluth intervallati dai sermoni (scritti da Luc Sante) di "Padre" Michael Shannon e improntati soprattutto alla predicazione sociale della Chiesa, dove Dio è sempre il misericordioso e il problema del Male è sostanzialmente una questione di giustizia redistributiva e di condanna del junk food.

Fortuna, direte, che ci sono le parole del venerabile cantautore ad illuminarci sulla reale portata di una riappropriazione culturale senza precedenti. Peccato che chi ha confezionato il film per la versione italiana si sia dimenticato di inserire i sottotitoli alle canzoni, rendendole del tutto inintelligibili per chi non le conosce a memoria o non mastica l'inglese del Minnesota come il dialetto di casa.

Ma pure ad avercene, l'operazione resta poco decifrabile, se non addirittura pretestuosa nel suo trattenersi dal dire e dallo spiegare.

A farla breve, alternare performance live di Dylan - belle di suo - a quelle "da pulpito" di Shannon non ci vuole poi tanta inventiva.

Resta la materializzazione del mito in uno dei momenti più controversi della sua carriera, lo splendido stato di forma artistico, l'intensità sul palco dove lo accompagnano mostri sacri del rock come Spooner Oldham alle tastiere, Fred Tackett alla chitarra, Tim Drummond al basso e Jim Keltner alla batteria, la bellezza senza tempo delle canzoni. Il brodo di giuggiole dei fan. Che non sono pochi.