Costretti ad abbandonare il proprio appartamento, perché dei lavori contigui hanno irreparabilmente compromesso la stabilità dell’edificio, Emad (Sahahab Hosseini), giovane insegnante, e la moglie Rana (Taraneh Alidoosti) si trasferiscono in un nuovo alloggio nel centro di Teheran. Entrambi sono impegnati a teatro in Morte di un commesso viaggiatore e progettano di avere un bambino, ma l’orizzonte improvvisamente si copre di nubi: Rana è vittima di violenza mentre sta facendo la doccia nel nuovo appartamento, ed è l’inizio di un incubo a occhi aperti…

Dopo Le passè (2013), il suo primo film girato fuori dall’Iran, Asghar Farhadi torna a filmare in patria, ma non cambia destinazione: ancora in Concorso a Cannes, è Forushande (The Salesman), da lui scritto e diretto.

Il voltaggio metaforico, ovvero sociologico è alto: la commistione e il mutuo rispecchiamento tra realtà e finzione, ovvero la pièce di Arthur Miller, riverbera sullo schermo tanti dei problemi dell’odierno Iran, dallo sfollamento a causa del terremoto indotto alle giovani generazioni abbandonate a se stesse, dalla paura della polizia al senso di minaccia costante, fino ai rapporti tra i sessi e il corto circuito colpa-sanzione-perdono.

Insomma, siamo poeticamente e politicamente dalle parti di Una separazione, About Elly e gli altri, ottimi, film di Farhadi, eppure questo The Salesman – vedi Miller: Death of a Salesman in originale – è da considerarsi una prova minore, se non nelle ambizioni, di certo negli esiti.

Farraginoso lo sviluppo - prima lenta carburazione della storia, poi un finale faticoso e iterato, allorché Emad arriva alla resa dei conti – e la drammaturgia arte-vita denuncia qualche stracchezza, non solo nella detection bensì nella costruzione psicologica dei caratteri, non sempre – soprattutto, Sahahab Hosseini – incarnati all’altezza. Sempre buon cinema, per carità, ma da Farhadi era lecito aspettarsi di più.