Sebbene non ci si possa aspettare un reinvenzione della saga da ogni nuovo film di Star Trek - questo è il 13°, ci ricorda puntualmente su Variety Owen Gleiberman - sarebbe quantomeno auspicabile che gli standard di eccellenza stabiliti da J.J. Abrams con la coppia di reboot da lui diretti venissero garantiti anche dopo che il buon J.J. ha mollato il timone.

Senza voler addossare l'intera responsabilità al povero Justin Li, artigiano dell'action cui andavano ascritti fino ad oggi ben quattro capitoli di Fast & Furious, è evidente che tra questo Star Trek Beyond da lui firmato e quelli di Abrams c'è un abisso più vasto dell'universo attraversato dall'Enterprise.

Là dove Abrams aveva saputo rivitalizzare una saga dal pesante retaggio televisivo, conferendole un look accattivante e post-moderno, bilanciando nostalgia e novità, dotandola di un registro mobile, capace di connettere l'epica alla commedia (felice in questo senso la rivisitazione di alcuni personaggi, Spock in primis), Justin Li fallisce, appiattendo la saga su un immaginario da brutta fantascienza anni cinquanta (tra pianeti più o meno extraterrestri e alieni pesantemente truccati), televisivo come concetto (personaggi fatti con lo stampino, manicheismo greve, zero ambiguità) e come prospetto (l'abuso di campi medi è indicativo di una più generale riduzione di prospettive).

Forse intimorito dall'eredità di Abrams (qui produttore), di sicuro non aiutato da una sceneggiatura raffazzonata, scritta coi piedi, Li finisce per trovarsi nella stessa situazione in cui scopriamo i nostri beniamini all'inizio del film: indecisi sul da farsi.

Momentaneamente a riposo dalle fatiche spaziali, il capitano Kirk (Chris Pine) medita di abbandonare la nave e intraprendere la più tranquilla e stanziale carriera di vice-ammiraglio, lasciando la guida dell'Enterprise all'ignaro Spock (Zachary Quinto), il quale riflette da par suo sulla possibilità di seguire le orme paterne e rifondare Vulcano. Finché una nuova minaccia da una galassia lontana non richiamerà entrambi al dovere mettendo fine a dubbi e ripensamenti.

L'uomo dietro la macchina da presa invece risolverà i suoi rimandandoli. E in effetti questo terzo episodio della saga "rebootizzata" lo si potrebbe saltare a piè pari, se non fosse per l'ammaliante (ma anche malamente sprecata) presenza di un'aliena sexy, la new entry Jayla (Sofia Boutella). Ridicolo il plot, monocorde il villain (Idris Elba). Si salvano un paio di momenti "relax" tra Spock e McCoy (Karl Urban), la presa dell'Enterprise da parte del nemico e la sua arma letale, "le api", sciami metallici che si muovono all'unisono distruggendo ogni cosa gli si pari davanti. Trascurati i personaggi di Nyota Uhura (Zoe Saldana) e di Hikaru Sulu (John Cho), ma almeno a quest'ultimo viene concessa la scena madre del film, quella in cui lo vediamo andar via con la figlia e il "compagno".  Allo sfortunato Anton Yelchin va invece la dedica finale.

Sulla messa in scena abbiamo già detto dei limiti di impostazione e di esecuzione evidenziati da Li. Limiti che diventano quasi insostenibili nella seconda parte del film, quando Star Trek Beyond diventa solo un confuso giocattolone fosforescente e ipercinetico: se con Abrams, anche nei momenti di maggiore concitazione, sapevamo sempre dove eravamo, qui per larghi tratti veniamo disorientati da inutili movimenti di macchina e sopraffatti da un bombardamento di immagini mosse solo esteriormente. Mentre tutto intorno (causa anche il solito utilizzo scellerato del 3D) appare confuso e opaco.