Forse solo in Francia è possibile concepire e realizzare un film in cui acceso vitalismo e malinconia esistenziale, joie de vivre e mal de vivre, passione e miseria siano a tal punto interconnessi da generare un amalgama omogeneo in cui tutti gli elementi non sussistono di per sé ma solo in relazione con gli altri. A ogni modo è ciò che accade in Les Ogres, scritto e diretto dalla giovane regista Léa Fehner, vincitore del Premio del Pubblico alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro.

Partendo da suggestioni autobiografiche, la giovane regista francese narra le peripezie di una compagnia teatrale che gira da un angolo all’altro della Francia per mettere in scena uno spettacolo di Čechov. La vita di per sé già irregolare degli attori, che vivono un po’ come una famiglia allargata dove ognuno sa tutto di tutti, subisce nuovi scossoni con l’arrivo dell’ex amante del regista, che scatena vecchi rancori e porta a galla rimorsi mai sopiti. A tutto questo, si aggiungono la gravidanza di una giovane attrice e i turbamenti esistenziali del primo attore, padre del nascituro. La tournée diviene dunque occasione privilegiata per un rimescolamento delle carte, per tracciare il bilancio di una vita bizzarra riempita dalle mille sfaccettature del teatro, punto di non ritorno per un nuovo inizio, con i suoi addii e le sue affascinanti novità.

I referenti possono essere tanti, dal Fellini de La Strada e di 8 e ½, al Truffaut corale di Effetto Notte, al Peter Bogdanovich dello spassosissimo Rumori fuori scena, ma in realtà la Fehner dimostra già uno sguardo personale, sicuro, corroborato da uno stile immediato e asciutto che aderisce ai volti degli attori senza dimenticare il contesto. Anche un bell’esempio di come si possa, infine, rendere omaggio al teatro e riflettere su di esso tramite il cinema senza rinunciare ai mezzi che del cinema sono propri. Due ore e venti sono oggettivamente lunghe - si poteva tagliare qualcosa, - ma questi Orchi d’Oltralpe, malinconici, rissosi, immusoniti, irrimediabilmente “francesi” ed eterni gitani della vita, sono la migliore testimonianza di come si possa, ancora e soprattutto oggi, coniugare le ragioni dell’arte (e della riflessione sull’arte) con quelle dell’intrattenimento intelligente, secondo la lezione migliore della Nouvelle Vague.