Martina (Daniela Ramirez) non ne può più. Sente che la sua storia con Marco (Riccardo Scamarcio, bravo) ormai è finita e vive con disagio la lontananza della terra natia: desidera solamente poter tornare a "casa" sua. Ma l'America Latina è lontana e a Bari, da ormai sette anni, oltre a Marco c'è anche Mateo (Gianni Pezzolla), bambino amato da entrambi i genitori che, inevitabilmente, soffre la situazione di crisi che si è venuta a creare. Martina però è decisa e, senza il consenso del compagno, approfittando di un suo viaggio di lavoro, prende Mateo e scappa oltreoceano. Un giorno, due, cinque, dieci: nessuna notizia. Marco, avvocato cinico e rampante, non può più aspettare, e tenta l'ultima carta: partire anche lui alla volta del Cile per tentare di ritrovare suo figlio.

Tema di drammatica attualità quello affrontato da Vincenzo Marra nel suo nuovo film, La prima luce, ospitato alle Giornate degli Autori di Venezia72: le storie dei "figli contesi" riempiono ormai da tempo anche le pagine dei quotidiani. Terreno scivoloso e delicato, difficile da calpestare in termini emotivi e giuridici, arduo e complesso da percorrere anche nel momento in cui si decide di "romanzarlo" per portarlo sul grande schermo. Ebbene Marra, forte di una sensibilità non nuova, che ormai da tempo contraddistingue la sua cifra stilistica, riesce nella non facile traduzione, realizzando un film tanto doloroso quanto dignitoso: nessun ricorso a scene madri o facili pietismi, piuttosto la volontà di tratteggiare con un sussurro, dei silenzi, due parole, qualche abbraccio, il carattere e la psicologia dei suoi personaggi.

Entrambi innocenti e al tempo stesso colpevoli, Martina e Marco sono facce di un'unica medaglia: non a caso, l'ambientazione del film è chirurgicamente divisa in due, proprio a sottolineare la difficoltà e il disagio provato prima da una, poi dall'altro, in luoghi non sentiti come propri.

Il mare primaverile della Puglia, il freddo dell'inverno ai piedi delle Ande: in mezzo c'è il sentimento non variabile del piccolo Mateo. Che dovrebbe essere salvaguardato a prescindere dagli egoismi di uno o dell'altro genitore.