Marciano, sempre, i pinguini, sovrani dell’Antartide. Avanti e indietro, avanti e indietro, dall’Oceano ai pulcini, per portar loro il cibo. Un viaggio che si ripete da secoli, iscritto nella loro memoria genetica. Luc Jacquet, dopo averli nel 2003 osservati e seguiti per mesi, in condizioni climaticamente e cinematograficamente proibitive, nel 2006 aveva vinto l’Oscar per il miglior documentario, con la sua Marcia dei pinguini.

Deve esserne rimasto davvero innamorato, di quell’ecosistema. Materiale filmato ne era avanzato parecchio, ma la nostalgia per quelle distese di ghiaccio e per l’Imperatore dal delicato piumaggio bianco e nero che le abita, lo ha fatto ritornare, dopo dodici anni, nel 2015, alla base Dumont d’Urville, nell’Arcipelago Pointe Géologie, 2.000 chilometri dalla Nuova Zelanda, cuore incontaminato dell’Antartide, che il Protocollo firmato a Madrid nel 1991 dichiara “riserva naturale destinata alla Pace e alla Scienza”. E molta pace contraddistingue le 54 colonie di pinguini fino ad oggi censite laggiù. Quella visitata dall’appassionato regista francese ne raccoglie 7.000.

Ne La marcia dei pinguini – Il richiamo, pur se ancora si tratta della perseverante resistenza di questi simpatici e tenaci uccelli (sono classificati così dalle scienze naturali) ai ghiacci, ai venti e alle rigidissime temperature, lo sguardo è però concentrato sui piccoli, da quando stanno ancora nel tepore dell’uovo a quando sbucano in un modo tutto bianco e piuttosto inospitale. “Non ho un ricordo più bello di quello di passeggiare sulla banchisa, di essere raggiunto da un pinguino e di condividere insieme a lui una parte del tragitto, un privilegio immenso poter vivere questo momento con lo spettatore”, confessa Jacquet, che un po’ comunque si ripete. Ascoltano, loro, il “richiamo” che li conduce verso un mare meravigliosamente blu e ricco di cibo, un istinto che assicura la continuità della specie, fino ad oggi non ancora assalita dai rapaci, che siamo noi.

Tuffandosi, quei piccoli che perdono le piume grigie fino a mostrare tutto il loro manto regale, scopriranno di saper volare non in cielo, ma nelle profondità degli abissi, fino a 600 metri sotto la calotta. E queste sono le immagini certamente più emozionanti, anche se parche di numero, affidate a Laurent Ballesta, fotografo subacqueo e biologo marino: con la sua squadra s’è gettato in quelle acque seguendo gli amici pinguini, filmandone le divertite e agilissime nuotate. Sempre splendida la fotografia di Vincent Munier, luminosa grazie alla risoluzione in 4k. La voce di Pif racconta e commenta, cercando di divertire anche per il suo accento siciliano, i momenti buffi di questa vita animale. Aggiungendo assai poco, in verità.