Con Little Miss Sunshine e Ruby Sparks i registi Jonathan Dayton e Valerie Faris avevano dimostrato di saper puntare sulla solidità del prodotto, proponendo cinema fresco e intelligente senza l’urgenza spesso nociva di voler a essere “autori” a tutti i costi.

Il loro nuovo La battaglia dei sessi - racconto dello storico incontro di tennis avvenuto nel 1973 tra la grande Billie Jean King e l’ex campione sciovinista Bobby Riggs - conferma l’efficacia del discorso cinematografico che i cineasti stanno sviluppando.

Prima di tutto il film si regge sulla solidissima sceneggiatura di Simon Beaufoy, improntata principalmente sulla presa di coscienza civile e sessuale della King. Da astuto pittore di psicologie quale si è spesso dimostrato, lo sceneggiatore tratteggia la vita interiore della donna con momenti di introspezione molto toccanti che alterna a un percorso narrativo più classico, a cui il pubblico può connettersi facilmente.

 

Lo stesso avviene per il co-protagonista (in realtà un ottimo secondo violino) Bobby Riggs, guascone in superficie ma all’interno triste pagliaccio vittima delle proprie debolezze. Dayton e la Faris si dimostrano poi ottimi direttori di attori, sfruttando al meglio le capacità di lavorare sui mezzitoni di una magnifica Emma Stone e di uno Steve Carell perfetto nel mostrare il lato malinconico del tennista.

Sono i due interpreti a impreziosire il film e regalargli quel qualcosa in più che alla fine lo innalza dall’essere soltanto l’ennesima celebrazione di un periodo storico più libero e impegnato.

A livello di messa in scena La battaglia dei sessi gioca un po’ troppo con la ricostruzione degli anni ‘70, ma alcuni momenti stilizzati non inficiano comunque più di tanto un prodotto confezionato con enorme intelligenza, capace di regalare intrattenimento non scontato e alcune raffinatezze nella delineazione dei caratteri.

Dal momento che il cinema sportivo ha quasi sempre preferito altre discipline al tennis, questo film rappresenta ancor più una piccola ma preziosa perla.