Grecia, giorni nostri. Maria è una donna di trent’anni, sposata a un marinaio e madre di tre figli piccoli. La vita della donna scorre apparentemente tranquilla, finché la scoperta dei pesanti debiti contratti dalla madre invalida nei confronti del fisco non manda in frantumi il suo universo privato; la scelta di bruciare un bosco in cambio di denaro, conduce dunque Maria a un punto di non ritorno che deciderà di tutta la sua vita. Sullo sfondo, inevitabilmente, il ritratto di un paese sull’orlo del tracollo economico e in gravissima crisi d’identità.

Di carne al fuoco, come si vede, ce n’è eccome: fin troppa, senza dubbio. Syllas Tzoumerkas, regista appartenente alla new wave del cinema greco contemporaneo, si lascia sopraffare dall’ambizione di esaurire il quadro sociale, prossimo all’apocalisse, della propria nazione, ma con l’ingenuità di volerlo rinchiudere nell’orizzonte intimo di un dramma familiare e, più ancora, personale senza possedere la chiave della giusta trasposizione dal micro al macrocosmo. Rimangono così poco esplorati o non indagati a sufficienza diversi spunti potenzialmente interessanti: la sessualità morbosa di Maria e del marito, specchio e metafora di un’umanità pronta a esplodere, e i sottili accenni al dilagare delle forze di estrema destra in un paese che sembra incapace di costruire un futuro se non oppresso dagli spettri del più recente passato.

Più interessanti, infine, scrittura registica, incentrata sull’intelligente alternanza fra primi piani e campi lunghi, e struttura narrativa a flashback, ma il risultato finale ne esce segmentato a dismisura e poco convincente, soprattutto per un film che, nelle intenzioni registiche, ambiva a “raccontare la disillusione e la radicalizzazione di una generazione”. In concorso al Festival di Locarno dello scorso anno.