Quando non è volgarmente ottusa, la commedia adolescenziale americana sa anche tirare fuori dal cilindro opere di sorprendente profondità e di grande leggerezza. Succede spesso con il versante indie del teen movie, soprattutto quando il teen movie ha la forza di emanciparsi dal suo stesso versante e dalle sue prescrizioni. Tutte le volte cioè che non camuffa il tipico film Sundance, le location amene, le famiglie disfunzionali, le cornici antropologiche sbilenche.

17 anni (e come uscirne vivi) è una di queste commedie, non fosse altro perché ambientata nell’agiata middle class della California del Sud, dove il sole rallegra comunque le giornate e i poco abbienti devono accontentarsi di tenere in giardino una piscina non emozionale.

Ma di tutto questo poco importa a Nadine (Hailee Steinfeld), teenager solitaria, complessata e sboccata che, già orfana dell’amato padre, ha appena perso l’unica amica che aveva, l’anonima Krista (Haley Lu Richardson), finita tra le braccia dell’odiato fratello Darian (Blake Jenner), un vincente con un sorriso pubblicitario stampato in faccia. A placare le turbolenze emotive tipiche dell’età ci dovrebbe pensare la madre (Kyra Sedgwick), ma anche lei soffre di vedovanza precoce, ha le sue paturnie sentimentali da gestire, la menopausa che incombe, il dentista del fine settimana. Non resta che il compagno con gli occhi a mandorla gentile e interessato (Hayden Szeto) e l’impenetrabile e sarcastico professore di storia, Mr. Bruner (Woody Harrelson), a cui Nadine ha appena comunicato le proprie volontà suicide nel folgorante incipit del film.

Insomma, in questo simpatico esordio di Kelly Fremon Craig, presentato a Toronto, ritroviamo gli elementi tipici del racconto di maturazione da mondo high school, con una protagonista inevitabilmente incompresa e conseguentemente alienata dal contesto, che si prenderà le sue rivincite e anche la sua dose di istruttivi calci nel sedere. E registriamo con una certa ammirazione la sorprendente capacità del cinema americano di rigenerare ogni volta il teen movie senza stravolgerne mai la struttura. Qui la differenza manco a dirlo la fa una scrittura felicissima (della stessa Kelly Fremon Craig), capace di bilanciare come poche annotazioni realistiche, graffiante ironia e coinvolgente sensibilità. È la sceneggiatura a restituire allo sfondo un rilievo piscologico e umano appropriato, regalando a ogni personaggio il proprio spazio, conferendo all’operazione una dimensione semi-corale. Ma il copione, senza questi magnifici attori, sarebbe lettera morta.

Da Hailee Steinfeld, che ha sfiorato il premio per la migliore performance ai Critics’ Choice Awards e ai Golden Globes (nominata in ambedue i casi), a Woody Harrelson, che si vede poco e parla anche meno ma assicura il necessario controcanto (u)morale al film, si fa a gara a chi è più bravo. Ovviamente a vincere è il film.