Sono trascorsi venticinque anni da quando Koji Suzuki, imponente firma nipponica (è stato definito il King giapponese), ha macchiato d’inchiostro e sangue oltre trecento pagine narrando la terrificante vicenda che vede protagonista Sadako Yamamura, giovane ragazza detestata per via delle sue doti ESP e per questo uccisa. Attenendosi al romanzo di Suzuki, Sadako viene gettata in un pozzo ancora viva, nel quale vi agonizza per sette giorni. E sette giorni di vita rimarranno a chiunque guarderà una VHS contenente un filmato composto da diverse raccapriccianti immagini. Il resto è storia.

Ed ecco nel ’98 la prima trasposizione: Ringu di Hideo Nakata. L’interesse suscitato dal mortifero adattamento giapponese convince DreamWorks e partner a realizzare un remake a stelle e strisce: The Ring. L’ottimo lavoro diretto da Gore Verbinski e con protagonista Naomi Watts innesca subito una nevrosi generale portando nelle sale folle oceaniche di teen ager e non solo. Nel copione statunitense Sadako Yamamura si presenta (sempre emergendo dal pozzo) con il nome di Samara Morgan e dalla ‘gemella’ orientale eredita praticamente tutto. Ma se in Giappone Ringu era già un cult, nel resto del mondo l’interesse verso quella che di lì a breve diverrà una saga con tanto di prequel, sequel, spin-off e adattamenti per il piccolo schermo esplode grazie al marketing americano.

Mentre Sadako torna in un buffo crossover che la vede scontrarsi con la diretta antagonista Kayako (della saga Ju-on o The Grudge), giunge nelle sale il terzo capitolo della saga statunitense. In realtà, il lavoro diretto da F. Javier Gutiérrez, su sceneggiatura di David Loucka, Jacob Estes e Akiva Goldsman, si presenta più come un reboot che un sequel. Come portare avanti una saga già ampiamente sfruttata? L’idea, più semplice del previsto, risiede nell’inserire un film nel film nell’ormai celebre e temutissima VHS.

Ecco allora che una manciata di secondi di video sinora mai visti giustificano un lavoro privo di idee, che tenta una sterzata verso la tecnologia più avanzata (parlare ancora oggi di VHS suona stridente!) per la diffusione e duplicazione del video letale, introduce nuovi legami di sangue e ricorre a stereotipi prettamente di genere (le critiche nei confronti della religione, ad esempio) per cercare di giungere a meta. La tensione non è per nulla presente e i rimandi ai titoli più fortunati degli ultimi anni (Scott Derrickson su tutti) si sprecano.

Gli interpreti, tra cui l’attrice di origine italiana Matilda Lutz, recitano in maniera appropriata pur non lasciando il segno. Impeccabile Bonnie Morgan (Samara), già presente in The Ring 2 e ancora una volta nelle vesti della ragazza dalla lunga chioma corvino. La fedeltà al primo capitolo si nota, forse troppo, e l’ennesimo finale aperto sembra fungere da preludio a un nuovo brivido questa volta non dovuto a Samara, ma all’idea di un ulteriore quanto inutile capitolo.