“Non fossi contento della selezione, sarei schizofrenico”. Parola del direttore della 73. Mostra di Venezia Alberto Barbera, che in compagnia del presidente della Biennale Paolo Baratta incontra la stampa al tradizionale pranzo di metà festival. Barbera confida nelle rispettive competenze – “Io faccio il selezionatore, voi i critici. Abbiamo scelto i titoli in 10 persone, nessuna scelta è indiscutibile, ma non leggo le recensioni durante il festival” – e si sofferma sul cinema italiano: “Venezia ne rileva l’estrema varietà: prodotti, ricerche, sperimentazioni e indirizzi. Da questa Mostra emerge che da un contesto difficile, in assenza di grandi maestri e autori, viene una grande vitalità. Se nelle nostre sale per il 95% arrivano commedie, mentre il restante 5% spetta al cinema di ricerca, i film italiani qui sono molto diversi, non omogenei, a testimonianza di una produzione non assuefatta: Venezia è ricchezza nella marginalità del nostro cinema”.

Il direttore, poi, si sofferma sulla massiccia presenza di divi sul red carpet lagunare - “Tradizionalmente, ci sono quando stanno nei film, e quest’anno in concorso abbiamo ben sette titoli americani” – e sciorina i motivi di soddisfazione per la corrente edizione: “Aumento delle presenze, gradimento delle proposte, nuovo mercato, Cinema nel Giardino”.

Il presidente Baratta esprime rammarico per la perdurante situazione di stallo del glorioso Hotel Des Bains, imputandola a vari soggetti: “Non tutto dipende solo dalla politica e dalla finanza pubblica”, mentre Barbera corre in difesa della location della Mostra: “Il problema Lido non esiste, anche se i margini di miglioramento sono sensibili”.

Entrambi, Baratta e Barbera, guardano Oltreoceano e concordano sul preminente punto di forza del festival veneziano: “Siamo selezionati da chi ha il potere di selezionare”.