“L’idea del film mi è nata da un’esperienza diretta, da persone che conosco che sono andate in collegio. E’ anche un’idea anacronistica negli anni Duemila, ma volevo capire la loro vita, a 16 anni, un momento in cui si è da soli, abbandonati, ma si fanno scelte indelebili. Volevo raccontare ragazzi che non ci sono nel cinema italiano di oggi, che non si vedono: poi, mi sono fatto trasportare dalle mie fantasie, e I figli della notte ha preso una piega al confine tra film su adolescenti e film di genere”. Così Andrea De Sica - figlio d’arte: il film è dedicato al padre Manuel, compositore scomparso nel 2014 - presenta il suo esordio al lungometraggio di finzione, I figli della notte, unico italiano in concorso al 34° Torino Film Festival.

Interpretato dai giovanissimi Vincenzo Crea, Ludovico Succio, Yullia Sobol affiancati dal dardenniano Fabrizio Rongione, segue Giulio (Crea), 17enne di buona famiglia, orfano di padre, che si ritrova recluso in un collegio per la classe dirigente del futuro in mezzo alle Alpi: riuscirà a farsi forza, a sopravvivere al bullismo degli studenti più grandi, l’ipercontrollo di insegnanti ed educatori (Rongione) grazie all’amicizia con Edoardo (Succio), con cui proverà a trasgredire...

“E’ una storia di formazione in cui il risultato è la crescita, ma raccontarla oggi significa contemplare qualcosa di scioccante, tagliente, provocatorio, non solo buoni sentimenti e cose spiritose. Sono 16enni con un percorso borderline, ma ben inquadrati in società, non ai margini: il film inquadra una persona potenzialmente pericolosa, che domani sarà capo della società”, afferma De Sica, che per trovare gli attori ha “visto più di mille ragazzi: non cercavo un dialetto, un volto, un’espressione, ma la capacità di recitare: volevo che il copione fosse rispettato, e insieme poi l’abbiamo anche trasformato”.

Trenta giorni di riprese a Dobbiaco in Alto Adige, in particolare nel Grand Hotel Dobbiaco in cui soggiornò anche Mahler e che De Sica ha voluto somigliasse all’Overlook Hotel del kubrickiano Shining, “un pezzo di film è Hansel e Gretel, con la casetta nel bosco: c’è il linguaggio della fiaba. Affronto la realtà attraverso la fascinazione, non c’è uno sguardo freddo e giudicante sin da subito, ma caldo ed empatico per portare i miei ragazzi e gli spettatori in una favola nera”. Concordano gli interpreti: per Crea “non si tratta di amare o odiare Giulio”, mentre Succio parla del suo Edoardo come di “una persona che cerca aiuto, e che poi soccombe: per una ferita lasciata da altri o forse perché non accetta il compromesso”.

Andrea De Sica traccia un’analogia con un film del nonno, I bambini ci guardano, perché “anche i miei protagonisti devono sopravvivere o morire, il loro di 16enni è un mondo in bianco e nero”, e sui suoi natali illustri afferma: “Più che di Manuel è difficile essere figlio di un produttore importante coem Tilde Corsi: tutti ti chiedono, perché non lo fai con tua madre? Viceversa, ringrazio Gregorio Paonessa e Marta Donzelli per lo spirito libero e la volontà di sperimentare”. Aggiunge Paonessa, produttore con Vivo Film, sul futuro distributivo de I figli della notte: “Il quadro in questo paese è sempre di maggiore difficoltà, e non solo per le opere prime, ma per tutti i film non facilmente inscrivibili in categoria e generi precisi. Dunque, ancor più per un’opera prima non incasellabile come questa”.

Curiosità, la colonna sonora del film, musica elettronica, è stata realizzata dal regista stesso: “Doveva farla mio padre, e quando è scomparso – ricorda Andrea De Sica - non volevo nessun altro: ho fatto da me, e ci ho preso gusto. Ho aperto uno studio, e voglio continuare a fare il musicista".