Viene da Hong Kong, il terzo titolo della SIC, terra fertile di cinema e patria del maestro Wong Kar-wai, di cui la regista di Hu die è stata assistente alla regia sul set di In the Mood for Love (2000). Il maestro le deve avere insegnato parecchio riguardo il ritmo e le cadenze del melò, o forse è stata direttamente la Yan Yan Mak ad appropriarsi di brandelli di stile e linguaggio wonghiani. E' il rischio che corre colui che tenta di emulare il proprio mentore ma è anche pericoloso pedaggio da pagare in termini di risultati ultimi. Hu die si osserva come un precisa e ripetitiva serigrafia, impregnato com'è di una visione estetizzante che porta la Yan Yan Mak a concentrarsi di più su dove posizionare un faretto che sull'intensità e la forza del racconto. Perché nel film si parla di temi delicati e spiace vedere che la macchina da presa indugi, fingendo naturalezza, sulle bretelline firmate Calvin Klein della protagonista. Storia di una insegnante di lettere, sposata e con un bimbo, Hu die racconta la difficile scelta identitaria della protagonista, innamorata di una sua studentessa, elemento perturbante che le ricorda un amore saffico di gioventù abbandonato proprio durante i giorni in cui, nella vicina Cina, si combatteva in piazza Tien An Men. Ribellismo politico à la page, un po' di rock dannato e un super8 che non si sa da dove sbuchi e dove voglia andare a parare, fanno di Hu die un film ambizioso ed impegnato, che svapora in una laccata e sobria bolla di sapone. In coda aggiungiamo una considerazione riguardo la complessa collocazione, in termini di orari e luoghi, della 19esima edizione della Settimana della Critica. La sala Astra situata a venti minuti dalle altre cinque sale del festival non aiuta, come del resto le proiezioni alle 20 e alle 22, a fruire con comodità di pellicole che meriterebbero comunque una collocazione paritaria, perlomeno alla nuova sezione Giornate degli Autori che sembra, apparentemente, aver preso il posto della SIC.