Quanto poteva durare un marziano a Roma? Poco. Ovviamente la città eterna non ha il dono di rendere eterno anche chi l’amministra. Ma Ignazio Marino non riuscì neanche a poter completare il suo mandato da sindaco della durata di cinque anni. Perché? Ce lo racconta Francesco Cordio nel suo bel documentario dal titolo Roma Golpe Capitale. Il chirurgo arrivato pedalando sulla sua bicicletta, con la sua aria un po’ naif, che decise di non stampare neanche un manifesto durante la sua campagna elettorale contro Alemanno e che salì al potere con l’intento di far finire l’epoca dei privilegi e dei favori aprendo a quella dei diritti e delle possibilità, vinse con il 64% dei voti. Era il 12 giugno del 2013 e Roma parve respirare un’aria di rinascita e di cambiamento grazie a un sindaco alieno (semplicemente perché onesto) che recideva i legami con le precedenti amministrazioni e che voleva risollevare la città dall’incuria, dal degrado e dagli sprechi che da anni la accompagnavano. In breve tempo: stoppò gli appalti senza gara, chiuse la discarica di Malagrotta (con ricadute negative per quelli che vi facevano affari), cambiò i vertici dell’Ama, bonificò Ostia dove c’era la mafia attaccando l’abusivismo e aprendo i varchi per accedere al mare, costrinse i vigili urbani a turnare, i macchinisti dell’Atac a strisciare badge all’entrata e all’uscita, cancellò le prospettive di urbanizzazione nell’Agro Romano, chiuse quindici residence nell’ambito di una riforma delle politiche abitative e pedonalizzò Via dei Fori Imperiali. Se non che questo Don Chisciotte che voleva dare “più dignità alle persone, servendo chi ha bisogno e non servendosi di chi ha bisogno”, per usare le stesse parole di Papa Francesco, non poteva durare a lungo in un contesto tremendamente corrotto come quello di Roma.

Troppi i poteri forti ai quali aveva pestato i piedi. Troppe le scelte giuste, ma non convenienti. La stampa non a suo favore, il non sostegno del suo stesso partito, il Pd, e le varie vicende che lo videro protagonista ridicolizzandolo (gli scontrini, la Panda rossa, l’anatema papale, il non aver appoggiato la scelta, ossessivamente caldeggiata da Giovanni Malagò, Luca Cordero di Montezemolo e Matteo Renzi di far sorgere il Villaggio Olimpico a Tor Vergata) gli diedero il colpo di grazia. Un dramma politico che si consumò fino al triste epilogo del mandato antidemocraticamente interrotto il 30 ottobre 2015. Lo stesso Ignazio Marino, ora tornato a fare il chirurgo a Philadelphia, lontano dall’Italia, ci racconta questa storia arricchita anche dalle testimonianze dei magistrato Gian Carlo Caselli e dei giornalisti Federica Angeli e Francesco Luna.

“Da chirurgo ho una memoria selettiva e ora mi ricordo solo le cose belle”, afferma Marino all’inizio del documentario. Ecco, questo doc, che vede protagonista un uomo talmente alieno da concepire il potere non più come sostantivo, ma come un verbo (ovvero il poter fare e il poter cambiare) ci ricorda anche quelle brutte, perché la storia non va dimenticata. E magari il prossimo marziano o marziana che atterrerà sulla città eterna, non sarà di certo immortale, ma quantomeno avrà miglior vita. D’altronde come diceva Che Guevara, nella sua famosa frase citata dallo stesso Marino poco prima della sua caduta davanti ai suoi sostenitori in Campidoglio che lo incitavano a ritirare le sue dimissioni: “Noi siamo realisti, vogliamo l’impossibile”. In attesa di un altro alieno.