In ognuno di noi c’è un bambino. Lo teorizzava Freud (e non solo), lo ribadisce il regista romano Riccardo Camilli con Peggio per me.

Un film che racconta la fragilità di una generazione: quella dei quarantenni spesso squattrinati e senza valide possibilità all’orizzonte. Francesco (interpretato dallo stesso Camilli) ha quarantadue anni e nel giro di pochi mesi tutto gli è crollato addosso: la moglie si è presa una mega pausa di riflessione, è tornato a vivere dalla madre, la figlia di dodici anni lo considera un perdente e, come se non bastasse, è stato licenziato dal suo incarico di insegnante di sostegno.

Anche l’amico Carlo (interpretato da Claudio, il fratello di Camilli) non se la passa benissimo: depresso da anni vive barricato in casa con la madre, è sociopatico e più volte nella sua vita ha tentato il suicidio.

Sull’orlo della depressione Francesco vorrebbe farla finita. Vorrebbe buttarsi nel Tevere, ma la voce di se stesso da bambino lo bloccherà. Quella voce arriva dal mangianastri della sua macchina dove è stata inserita una vecchia musicassetta contenente un divertente “audio-remix” di televendite televisive e film per adulti registrato ben trent’anni prima da lui e dal suo amico storico.

Girata con pochissimo budget, Peggio per me è una commedia amara che riesce con grande semplicità, giocando tra realtà e fantasia, e senza alcun colpo di scena a raccontare una storia di depressione, non solo individuale, ma di un’intera generazione, tenendo sempre vivo l’interesse dello spettatore. L’ossimoro di una depressione viva.

E' dunque una storia normale. Quella stessa normalità che però ci sorprende come quando ritroviamo in una vecchia scatola un ricordo d’infanzia. D’altronde era lo stesso Pascoli a dire non solo che bisogna tenere sempre vivo il fanciullino che è in noi e che per il poeta come per il fanciullo sono belle e degne di canto anche le cose umili, quotidiane e modeste. Le stesse cose familiari e consuete che sceglie di raccontare Camilli. C’è quindi una certa poesia del quotidiano in questo film, che è anche un racconto nostalgico.

Sublimando le vecchie audiocassette e i giradischi anni ottanta che liberavano la nostra creatività ed espressività velatamente si criticano i nuovi mezzi di comunicazione come whatsapp e internet (un giudizio ultimamente diffuso al cinema con Sconnessi) che appiattiscono la nostra vita distraendoci da momenti importanti come la morte di una persona cara.

E si analizza un’intera generazione divisa tra quelli che hanno famiglia non si sa poi quanto felici e quelli senza un lavoro, in cassa integrazione, che mandano cv e non ricevono mai risposte.

Una generazione che non solo non riesce più nemmeno a provare le pene d’amore, quel così detto “dolore di pancia”, perché presa da altre preoccupazioni, ma che nel tempo è diventata estremamente egoista. Sarà proprio quel “fanciullino” che ci aiuterà a combattere quest’estremo individualismo ricordandoci che occupandoci di chi ci sta intorno ci si sente meglio e che nessuno dovrebbe mai scordarsi la leggerezza del bambino che è dentro di noi. In puero homo.