Pochi mesi dopo L'arrivo di Wang tornano in sala i Manetti Bros. : stavolta il campo d'elezione è l'horror, genere sempre sfiorato dai fratelli romani ma mai così apertamente battuto come in questa occasione. Per farlo, si affidano alla maestria di Sergio Stivaletti (effetti speciali e trucco), alle atmosfere sonore di Pivio, poi abbozzano un richiamo all'“Orco Insabbia” di Hoffman e sfruttano abilmente l'ambigua recitazione di Peppe Servillo, marchese rispettato e benvoluto in superficie, tremendo torturatore nel buio della propria cantina. Quello che non funziona a dovere, invece, è la pre-costruzione della suspense, il lavoro di avvicinamento all'orrore: i tre giovani coinquilini (Pedrotti, Diele, Di Biagio) che s'imbatteranno casualmente nell'orco - intrufolandosi nella sua villa disabitata per il weekend - non riescono a stabilire alcun contatto empatico con lo spettatore, chiamato per oltre 40 minuti a seguirne stancamente le “gesta”. Sofferenza comunque ripagata dal crescendo finale dove, come detto, i Manetti mollano il freno e non badano a sangue: capezzoli estirpati, teste mozzate, l'orrore prende forma e, con lui, il più terrorizzante degli sviluppi. Quello che lega indissolubilmente il destino di vittima (Francesca Cuttica) e carnefice.