Le voci di corridoio lo descrivevano come il classico "pacco", o "sola" che dir si voglia, del concorso cannense, invece Mondovino di Jonathan Nossiter è una puntuale ricognizione documentaria sulle negative conseguenze di una globalizzazione senza più regole che si accanisce anche verso la nobile tradizione enologica, diretta conseguenza dello sfascio e saccheggio che sta subendo con maggior eco il mondo del cibo. Costruito e pensato come un lavoro di dieci puntate per la televisione francese, Mondovino non brilla di certo per la tecnica di ripresa, approssimativa e tentennante, che non si capisce bene perché giochi sulle panoramiche a schiaffo e sulle improvvise entrate in campo di persone inattese, modello candid-camera. Il pregio di Nossiter è pero quello di mostrare abilità nel maneggiare il tema trattato, riuscendo a costruire in una struttura temporale chilometrica, che lo ricordo si prolunga per 158 minuti, una quasi perfetta sincronia di evoluzione cognitiva. Il continuo confronto fra due metodologie di produzione dei vini - quello tradizionale portato avanti da piccoli coltivatori sparsi per il mondo con un'infinita, ricca ed eterogenea varietà del prodotto (dalla Malvasia del signor Columbu a Sardinia, passando al Bordeaux del signor De Montille nel Pommard, fino al bianchetto Torrontes della vigna da un ettaro dell'argentino Antonio Cabezas) e quello che tende all'appiattimento del gusto, all'indistinguibilità del sapore, conseguito, tra gli altri, con le tecniche moderne della famiglia Mondavi da Napa Valley in California (miliardi di dollari quotati a Wall Street) - è un curioso ed importante saggio/inchiesta sulla difficoltà di non comprendere quali possano essere il valore delle tradizioni e il giusto prezzo per il mantenimento, senza piegarsi ad artificiali joint venture con grandi multinazionali, di una autonoma posizione su qualsiasi mercato economico. Poca politica, in senso ideologico, dietro questo Michael Moore dell'acino, ma molta volontà di scavare nelle vita di tutti i giorni, nella quotidianità di chi, senza inventarsi esperto di chissà quali microrganismi dannosi e di supertecnologiche tecniche di coltivazione delle vigne, ci regala il perpetuarsi armonico dei ritmi della natura.