Chi era Jean Rouch? Il documentario L'Enigma di Jean Rouch a Torino - Cronaca di un film raté diretto da Marco Di Castri, Paolo Favaro e Daniele Pianciola, presentato nella sezione Venezia classici della mostra del cinema di Venezia, ci racconta il lavoro di questo grande etnologo, antropologo e regista francese.

Inventore del cinema in presa diretta, Jean Rouch lasciò negli anni ottanta il fiume Niger per approdare sulle rive del Po a Torino in occasione del Festival Cinema Giovani del 1984. Lì decise di raccontare la storia di un misterioso mecenate che convoca nel suo castello sulla collina torinese un falsario chiedendogli di realizzare il quadro che Giorgio De Chirico non dipinse nel 1911 quando soggiornò nel capoluogo piemontese. Tra suggestioni dechirichiane e richiami nietzcheani nacque così il film "Enigma" (1986) che attraverso gli strani incontri del pittore individuava il volto metafisico di Torino.

Jean Rouch parte dalle architetture della città come la mole antonelliana (da lui descritta come un sottomarino o un razzo che domina il centro abitato) per poi raccontare la storia. Fare un film per lui significava infatti descrivere qualcosa di cui si era coinvolti e di cui possibilmente non si conoscesse il finale. Così attraverso i racconti dei tre registi e degli interpreti di “Enigma” come il pittore Gilbert Mazliah, il mecenate Gianfranco Barberi e la sua compagna Sabina Sacchi, e il filosofo Philo Bregstein si entra nel vivo del lavoro del cineasta che fu poi considerato da Godard uno degli animatori della Nouvelle Vague.

Dal dopoguerra all'anno della sua scomparsa (2004) Rouch realizzò almeno 120 film, prevalentemente in Africa e su tematiche di tipo antropologico. Film che lui definiva al 90% “ratè”, che significava che l’obiettivo previsto non era stato raggiunto. “Enigma” fu un film diverso girato in una città industriale come Torino. Una città che diventa protagonista del racconto con il Castello di Rivoli, la fabbrica della Fiat, Villa Gualino fino al Museo Egizio e alla Mole Antonelliana non ancora Museo del cinema. Un doc che ci permette di scoprire la personalità di un surrealista che amava lo sberleffo e la provocazione e che girava una volta sola come veniva, tenendo anche le scene sbagliate. D'altronde lui, maestro nel saper trasformare gli ostacoli in invenzioni, pensava che non stava scritto da nessuna parte che bisognava fare campo e controcampo.