Dal Tibet, ancora una volta nella sezione Orizzonti dove nel 2015 aveva presentato Tharlo, torna il regista Pema Tseden. In questa occasione ad averlo preso sotto la sua ala protettrice è addirittura Wong Kar-wai, produttore di Jinpa. Sarà per la presenza dietro le quinte dell’autore di In the Mood for Love, ma certo questo film appare molto più rarefatto e di atmosfera del precedente. Non che sia un male, anzi. Visivamente affascinante e volutamente evasivo rispetto a una narrazione lineare, Jinpa è una scheggia libera e impazzita, simbolo perfetto del cinema d’autore.

Un camionista attraversa un altipiano desolato. Mentre cammina ascoltando alla radio e cantandovi sopra una divertente versione cinese di O sole mio, investe una pecora. Un brutto segnale. Poco dopo dà un breve passaggio a uno strano tipo che ha con sé un pugnale. Giunto a destinazione, in un locale retto da una ragazza bella e misteriosa, viene a sapere che l’autostoppista vuole uccidere qualcuno per vendetta. Da quel momento la sua vita non sarà più la stessa.

Ricco di salti logici e inoltre impregnato di simboli propri della cultura tibetana non facili da comprendere, Jinpa richiede allo spettatore lo sforzo di lasciarsi andare e godere di una messa in scena di inusuale bellezza piuttosto di capire fino in fondo lo sviluppo della storia. Non che le domande restino senza risposta, alla fine il disegno complessivo è chiaro anche senza i tasselli persi per strada.

A rendere piacevole la visione oltre la sontuosità di fotografia e inquadrature, un’ironia sottile che pervade ogni sequenza. Tra tutte il corteggiamento verbale tra il camionista e la proprietaria del ritrovo, un capolavoro di non detti e provocazioni. Ma questa era anche la cifra di Tharlo. Jinpa conferma  della linea artistica di Tseden, autore fedele alle tradizioni e alla cultura tibetane, che gira nella lingua madre e costruisce film che sono sempre in sottofondo anche un inno alla terra madre.