Il sole nero, ovvero l'eclissi in sala. Dall'opera teatrale Agata di Rocco Familiari, il regista polacco Krzysztof Zanussi porta sullo schermo l'eterno dualismo Bene e Male, Eros e Thanatos, in montaggio alternato - e parallelo - con teodicea, manicheismo, determinismo, e chi più ne ha… Deludente sotto ogni profilo, l'ultima del regista caro a Wojtyla è "opera non grata": dialoghi verbosi, nudismo stucchevole, surrealtà involontaria, asfissia drammaturgica e un odore di polvere da soffitta del cinema. A che pro, maestro Zanussi? Perché scomodare Valeria Golino - urge campagna pro-doppiaggio - per la liaison d'amorosi sensi con il quasi deb Lorenzo Balducci, Kaspar Capparoni, macchietta maudit, e i vari Toni Bertorelli, Remo Girone e Victoria Zinny per un ensemble del "tirar via"? Incastrato da premesse tanto fondamentali quanto pleonastiche, Zanussi non riesce nella traduzione audio-visiva: le immagini rimangono cartacee, l'inchiostro oscura lo schermo. Regalando chicche di sceneggiatura purissima: "…per bellezza più simile a Fidia che a Lisippo", esclama - per gli studenti presenti e gli sghignazzi del pubblico - il medico legale Girone di fronte alla salma di Balducci sul tavolo da autopsia. Un peccato per un regista che, seppur con esiti alterni, aveva sempre offerto un dignitoso approdo ai temi cari di cui sopra: qui no, abbacinato e oscurantista insieme, Zanussi ha perso lo zenith.