Quando si pensa ad una persona anziana, tra le prime immagini a venire in mente c’è quella di un docile vecchietto con i capelli bianchi, sempre gentile e sorridente. Beh, gli anziani che animano Il peggior lavoro della mia vita di Thomas Gilon non rispecchiano minimamente questa edificante rappresentazione. Tutt’altro.

Il film distribuito da Notorious Pictures e nelle sale dal 24 marzo, ha come protagonisti Gérard Depardieu e un vispo gruppo di ‘attempati’ ospiti di una casa di cura dove, obbligatoriamente, il giovane Milann (Kev Adams) deve svolgere le sue trecento ore di servizi sociali per evitare la prigione, a causa di un piccolo incidente avuto con una signora, anch’essa in età avanzata, ma decisamente furbacchiona.

L’impatto con il lavoro è destabilizzante e a tratti tragico(mico). Perché, oltre a doversi destreggiare con discrete ma scaltre signore, un corpulento ed astioso ex pugile, con chi deve usare lenti fuori misura per guardare la televisione anche a due centimetri di distanza o con l’uomo affetto da Alzheimer designato come prete confessore perché “tanto tra un’ora non ricorda più niente”, Milann deve anche sottostare alle ferree regole imposte dall’ambiguo direttore del luogo risolvendo, in contemporanea, anche un pericoloso ricatto economico.

Alla già complessa situazione, inoltre, si aggiunge l’astio reciproco (e manifestato in filodiffusione) tra lui e i residenti decisi a vendicarsi dell’atteggiamento maleducato del “nuovo prigioniero”, previe segrete riunioni in stile circle time nelle ‘segrete’ della struttura. Ma dopo l’aver scoperto la triste infanzia da orfano di Milann e per questo sentendosi empaticamente simili nell’istanza dell’abbandono, le carte in tavola cambiano completamente le dinamiche fino a quel momento in gioco. Il nuovo gruppetto, infatti, si alleerà contro il nemico comune.

Nonostante il plot twist non sia pervenuto e il tòpos del ravvedimento del ‘confuso ma bravo ragazzo’ si è visto innumerevoli volte e in ogni modo possibile, l’allure della commedia francese è presente, anche se condizionato da una certa forzatura negli sketch che sembrano escogitati prevalentemente per far ridere senza arguzia.

Ma se è vero ciò che sosteneva Groucho Marx, che “in ogni vecchio c’è un giovane che non si dà pace”, questo frizzante gruppo, agée solo nell’aspetto, dimostra come la vitalità e la gioia di vivere non si leghino al numero di anni ma al desiderio di esprimersi per come si è sempre stati e perché no, anche abbracciando gli alberi!