“Rispetto!” è la parola che echeggia in un degradato campo di calcetto nella periferia di Cagliari, urlata da un gruppetto di cinque ragazzini, capeggiati e incitati da un distinto cinquantenne. Il “rispetto” è proprio il punto fermo dell'approccio di Peter Marcias, autore di Dimmi che destino avrò, alla comunità rom: un regista che, per sua stessa ammissione, prima di intraprendere questa avventura cinematografica, ignorava quasi del tutto le tradizioni di una cultura a lui estranea. Grazie al contributo di Gianni Loy, scrittore e sceneggiatore cagliaritano impegnato nel sociale e nella politica della sua città, Marcias è riuscito con coraggio e umiltà ad entrare in sintonia con un'opera complessa, che, sviluppandosi a cavallo tra i limiti e i preconcetti di due culture, mette in gioco temi come la diversità, il pregiudizio e la tanto auspicata integrazione. Non circoscrivendosi a un livello sociale e propriamente narrativo, l'integrazione si inserisce anche nella cifra stilistica del regista, che propone una costruzione filmica a metà tra realtà e finzione. Non sono però le situazioni e gli spunti narrativi a rafforzare la rappresentazione della realtà; al contrario, gli elementi del reale contribuiscono allo sviluppo di una storia che prende forma ai margini della società, in cui la mdp di Marcias entra, senza filtri etnografici o sociologici, ma affrontando, in maniera diretta, la problematica convivenza di culture differenti.
Il film, sviluppatosi in concomitanza con le numerose polemiche legate al campo rom sgomberato a Cagliari la scorsa estate, che hanno creato un dibattito molto accesso in Sardegna, narra la storia di Alina (Luli Bitri), una ragazza di origini rom, che da anni vive e lavora a Parigi, tornata a trovare i genitori nella loro “baracca”. L'indagine sul rapimento in cui è coinvolto suo fratello, farà incrociare il destino di Alina con quello del commissario Esposito (Salvatore Cantalupo), con il quale crescerà un'amicizia man mano più intensa. L'incontro con la ragazza è l'occasione, per il commissario, di immergersi sempre più profondamente in una cultura che non gli appartiene, senza limitarsi a guardarla – e giudicarla – da lontano, spingendolo a decidersi di allenare un gruppo di piccoli calciatori.
Il movimento “immersivo” che dalla finzione si addentra in un'analisi approfondita del reale, riesce anche a colmare il vuoto causato da spunti narrativi non propriamente giustificati e sviluppati, regalando allo spettatore l'occasione di scoprire la realtà della vita nell'illusione cinematografica, complici anche le musiche curate da Eric Neveux, uno dei più giovani compositori francesi di talento.
Il film, realizzato con il contributo della Fondazione Sardegna Film Commission, è stato presentato in anteprima mondiale nella Sezione Festa Mobile del 30° Torino International Film Festival.