Ma non l’avevamo già visto? E dove? Ovunque, da Tutti gli uomini del presidente a The Insider, passando per Erin Brockovich: sì, ma così? A fare di Dark Waters un epigone ribelle è la firma, del regista Todd Haynes, e la sostanza, di una storia vecchia come il mondo però raccontata nuova: non con trasgressione, ma per sottrazione, meglio, riduzione all’ordinario.

Sappiamo di che cosa sia capace Haynes, da Far from Heaven a Carol, da Velvet Goldmine a I’m Not There, il suo dominio è la forma, e che forma; sappiamo come avrebbe potuto inquadrare questo Davide contro Golia, svariando immaginifico sullo spartito della cospirazione, straniando e allitterando il power to the people. Invece no, calmiera lo stile, chiede “mera” osservanza epocale e ambientale al dop Ed Lachman, sopra tutto, non eleva dall’uomo comune il protagonista, Mark Ruffalo negli abiti senza pretese dell’avvocato Robert Bilott.

Basato sull’articolo di Nathaniel Rich “The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare” pubblicato dal New York Times Magazine nel 2016, inquadra Bilott, appena promosso socio dello studio legale nella Cincinnati del 1998, allorché Wilbur Tennant (Bill Camp, super), un allevatore di Parkersburg, West Virginia, gli smolla due scatoloni di vhs: documentano la moria delle sue vacche, falcidiate dagli sversamenti del colosso chimico DuPont.

L’agente con licenza d’uccidere è l'acido perfluoroottanoico (PFOA o C8), ovvero l’ingrediente segreto del Teflon: DuPont sa, ma occulta; Bilott sa, e indaga, con sprezzo – la moglie Anne Hathaway, i figli trascurati, la salute precaria – del pericolo.

In cartellone al quarto International Film Festival & Awards di Macao, Dark Waters è come appare, ovvero lucido, diritto, pragmatico: non ha orpelli né infingimenti, coniuga al nostro imperfetto presente un exemplum dal basso, senza proclami ma aperto ai proseliti. Tranne la Hathaway, personaggio e prova, non stona nulla, sono acque, civilmente, lustrali. Anche per Haynes: oltre alla forma c’è di più. C’è sempre stato.