C.O.G. è il primo film tratto da un racconto di vita dello scrittore e umorista americano David Sedaris (è tratto da Naked, la raccolta del '97), finora sempre contrario a qualsivoglia tentativo di "traduzione" della propria caustica produzione letteraria. Il risultato ottenuto qui da Kyle Patrick Alvarez, sceneggiatore e regista dell'operazione, gli darebbe ragione: non c'è traccia della dissacrante ironia di Sedaris né del suo feroce e goliardico (anti)umanesimo. Ciononostante C.O.G si rivela un onesto e amaro romanzo di formazione che trova nell'ottima performance degli interpreti - a iniziare dal protagonista, il sorprendente Jonathan Groff - il suo vero punto di forza.
David è il tipico "preppy boy" (con tanto di maglione stemmato Yale) con la faccia pulita, il ciuffo, la cultura enciclopedia e un libro sempre a portata di naso. Le mani però se le vuole sporcare, desidera fare esperienza. Così s'imbarca sul primo autobus per l'Oregon - che si rivelerà una specie di delirante nave dei dannati, tra donne gravide già piene di rancore, coppie che gli copulano davanti ed ex galeotti con la faccia allucinata che pretendono d'insegnargli la vera sapienza: Gesù - per raggiungere uno sterminato giardino di meli nel bel mezzo del nulla. Lì inizierà come raccoglitore per un rozzo agricoltore, poi si aggregherà a una fabbrica di selezione delle mele buone, infine entrerà in una comunità di cristiani integralisti, da cui ne uscirà con l'acronimo di C.O.G., Child Of God.
Ognuna di queste esperienze sarà caratterizzata da un'amicizia malriposta: prima Jennifer (Troian Bellisario) che doveva condividere l'esperienza "del melo" con lui, salvo poi ripensarci, mollarlo lì e andarsene a San Francisco con il fidanzato; quindi Curly (Corey Stoll), un ragazzone della fabbrica che lo prende in simpatia fino al punto da volerlo "provare" sessualmente; infine Jon (Denis O'Hare), un ex militare e un ex alcolizzato con una gamba di plastica, che gli insegna a lavorare la giada e lo introduce nella chiesa che a lui "ha salvato la vita".
Una specie di escalation iniziatica alla grettezza e al male del mondo, che pullula di segni biblici (l'albero delle mele non è forse quello della tentazione, e il giardino una fraintesa idea dell'Eden?) e di premonizioni: col senno di poi il cammino di David (che si farà chiamare Samuel dai "nuovi amici": Davide e Samuele, altra curiosa concordanza veterotestamentaria) era stato anticipato dagli incontri che il ragazzo aveva fatto sul pulmann, nel prologo del film: il volto truce delle donne (David ha interrotto i rapporti con la madre e verrà "tradito" dall'amica Jennifer), il sesso, la religione.
Alvarez decide di non alzare mai i toni, di trattenere le emozioni e di non esagerare con l'ironia. Un distacco che giustifica la piattezza della messa in scena, ordinaria e senza sbavature, ma che rischia di consegnarci un film senz'anima.