Uno scrittore, Gavino Ledda, quello di Padre padrone, che fa l’attore. Uno scrittore, Giulio Angioni, che fornisce il libro da adattare, Assandira (Sellerio). Un regista, Salvatore Mereu, che scrive e dirige: Assandira è Fuori concorso alla 77. Mostra di Venezia.

Nel cast anche Anna König, Marco Zucca e Corrado Giannetti, il vecchio Costantino (Ledda) è fradicio, inzuppato da una pioggia torrenziale quanto inutile: troppo tardi ha spento l’incendio che s’è mangiato l’agriturismo in mezzo al bosco, Assandira. Nel rogo sono periti molti animali e il figlio di Costantino, Mario (Marco Zucca): la di lui moglie, la tedesca Grete (Anna König), incinta lotta in ospedale. Sul posto sono i carabinieri e il giudice Pestis (Corrado Giannetti) che a Costantino chiede conto di quel che è accaduto. Testimone oculare, e forse qualcosa in più, Costantino si mette a raccontare, con un flusso di coscienza che esula dal mero rendiconto: che è accaduto ad Assandira, e perché? Che cosa ci sta dietro, e dentro?

“Non lo sapremo mai. Sappiamo però che la natura umana è la più grande risorsa per raccontare una storia, anche a dispetto dell’intreccio, che è un vecchio arnese nel quale si può solo inciampare”, consegna alle note di regia Mereu, che in oltre due ore fa di narrazione mostrazione, e viceversa, dando potere alla parola affinché le immagini siano più eloquenti.

Chi è Costantino, un Candide buono per gli scatti dei turisti? Chi è Grete, una Madre madrona pronta a irretire e soggiogare? Chi è Mario, un debole alla mercé di Grete e un figliol prodigo e restio? Mereu affastella indizi e aporie, scorciatoie e strade sbagliate, chiedendo all’umano, e alla natura, dei misteri dietro le fragili certezze e le apparenti verità. Il giudice cerca elementi, Costantino dice molto e forse non tutto, Assandira è parola arcaica ed entità oscura. Fecondazione eterologa, incesto, orge e, su tutto, la Sardegna condannata all’attrazione, attaccata dall’esterno e implosa dall’interno: Mereu la prende larga e la tira in lungo, perché così va fatto, ché l’involuzione è recondita e annosa e non si può aver fretta.

Fascinoso, liquido e insieme pastoso, Assandira arriva a scioglimento in modo puerile, spurio e moralistico, ma i grumi rimangono e sono antichi, come le rughe sul volto di Ledda: non tutto funziona, anzi, l’involuzione antropologica tracima nella drammaturgia, la stracchezza si manifesta a più riprese, eppure, Mereu e i suoi echeggiano tempi, modi e significati nascosti, aviti, pericolosi. Più lucidità e consapevolezza avrebbero giovato. Dal 9 settembre in sala.