Dopo le controversie di The Passion, i problemi personali e l'accanimento dei mass media, Mel Gibson torna dietro la macchina da presa con Apocalypto, miscela impazzita di epos e thriller, kolossal storico e afflati mistici. Il balzo a ritroso è in America Latina, prima della conquista spagnola: seicento anni fa, all'apogeo della misteriosa decadenza della civiltà Maya. Gli alti dignitari per guadagnarsi il favore degli dei continuano a pretendere la costruzione di nuovi templi e sacrifici umani: è questa  la sorte che condanna Zampa di Giaguaro, ma il giovane è deciso a tutto per salvare se stesso, la famiglia e il popolo. Portando la camera nella giungla e all'interno della città meso-americana, Gibson consegna Apocalypto all'action, un azione senza soluzione di continuità, spesso brutale. La regia è parossistica e strizza l'occhio al videogame, l'attore protagonista sembra Ronaldinho in uno spot della Nike, e non è tutto: una scoperta inconcludenza drammaturgica, plurime incongruenze sul piano storico e delle mera verosimiglianza affossano il film. Siamo dalle parti del mero entertainment, che si vorrebbe contraddetto dal procedere allusivo e "alto", ma superficialità poetica e astensione politica sono impietosamente evidenti. Non tiriamo fuori dunque interpretazioni ecologiste, suggestioni comparative sull'Iraq e rimbalzi geopolitici vari ed eventuali, non ne vale la pena. Game over.