Al festival di Berlino il documentario di Michael Winterbottom aveva suscitato interesse e reazioni contrastanti. Poi sono arrivati Michael Moore e Oliver Stone, entrambi a Venezia, a raccontare da angolazioni diverse le disfunzioni del capitalismo, Moore entrando nelle case americane e Stone facendo il giro del Sudamerica con il presidente Chavez e colleghi: le conclusione erano più o meno le stesse. Forse per questo Winterbottom è tornato a Torino, con lo stesso documentario, però tagliato e rimontato per sintetizzare all'estremo La dottrina shock di Naomi Klein. Libro-denuncia in cui si indagano gli effetti del capitalismo attraverso una serie di legami (occulti e non) tra esperimenti incominciati nel 1951 in America, la perversione del cosiddetto libero mercato, e disastri globali avvenuti nei decenni successivi. Naomi Klein individua le origini della dottrina shock negli assunti, divenuti celebri, dell'economista statunitense Milton Friedman, scomparso recentemente e premio Nobel per l'Economia nel '76. Quello che la Klein descrive con efficacia nel suo bestseller e Michael Winterbottom trascrive sullo schermo, con potentissimi e quasi inediti materiali di repertorio, è che la teoria Friedman ha generato abusi al posto di democrazie, così gli esperimenti dello scienziato Cameron al posto di contribuire allo studio sulla mente umana sono stati utilizzati cinquant'anni dopo dalla Cia sui prigionieri iracheni nella base di Guantanamo. Winterbottom parte dalla dittatura di Pinochet in Cile, con cui Friedman ebbe rapporti controversi, per arrivare alla politica della Tatcher e alla disgregazione dell'Unione Sovietica, fino all'invasione di Iraq e Afganistan. Il film si concentra sulla parte più oscura del pensiero Friedman, almeno nelle sue applicazioni, secondo cui poteri forti e grandi industrie si devono coalizzare nello sfruttamento di paesi affetti da catastrofi al fine di creare società libere. All'opposto generano invece violenza e povertà: i fatti sono sotto i nostri occhi.