Giusto così. Dimenticate le polemiche della scorsa edizione (vinta da Somewhere di Sofia Coppola), la 68° Mostra di Venezia premia "l'opera d'arte" indiscutibilmente migliore del suo Concorso. Il Faust di Aleksandr Sokurov straordinaria rilettura del mito e dell'opera di Goethe, pietra miliare con cui il cinema, da oggi, dovrà ricominciare a misurarsi in termini di tecnica e poetica, vince il Leone d'Oro non per manifesta inferiorità "degli" altri, ma per manifesta superiorità "sugli" altri.
Lavoro che travalica il concetto stesso di film, per portare oltre - proprio come l'inesausto desiderio del suo protagonista - gli attuali confini conosciuti della settima arte, il Faust di Sokurov (che uscirà nelle sale grazie alla Archibald e che riporta la Russia alla vittoria del Leone d'Oro ad otto anni da Il ritorno) è solo la punta di diamante, l'opera-totale, di un'edizione della Mostra caratterizzata da un Concorso di altissimo livello.
A dimostrarlo, nella scelta della giuria presieduta da Darren Aronofsky (chi pensava potesse farsi piegare da alcune logiche di potere è stato smentito dai fatti), l'elenco dei "grandi" assenti dal palmares: Carnage di Roman Polanski, Le idi di marzo di George Clooney e A Dangerous Method di David Cronenberg. I primi due accolti in maniera trionfale da giornalisti e critici, il terzo con meno entusiasmi, tutti comunque difficilmente in grado di spostare l'asse di una visione che, come da definizione, una Mostra d'Arte Cinematografica deve necessariamente tentare di smuovere, mutare, esplorare. Anche per questo, crediamo sia indiscutibile il Leone d'Argento per la migliore regia assegnato a People Mountain People Sea di Cai Shangjun - film a sorpresa tanto sfortunato per una serie di vicissitudini (prima proiezione annullata, sala "in fumo" più tardi) quanto fortunato sullo schermo - ritratto discensionale di un paese, la Cina, che per sperare in un futuro migliore dovrà esplodere nelle viscere per iniziare da zero.
In molti storceranno il naso poi per il Premio Speciale della Giuria, andato a Terraferma di Emanuele Crialese: gli stessi che, magari, nel 2006 gridarono allo scandalo per il mancato Leone d'Oro a Nuovomondo...
La Coppa Volpi a Michael Fassbender per Shame e per l'attrice di A Simple Life, Deanie Yip, confermano le attese della vigilia e mettono d'accordo praticamente chiunque: noi non dimentichiamo però il Gary Oldman di Tinker, Taylor, Soldier, Spy di Tomas Alfredson (forse il vero, unico film assente "ingiustificato" dal palmares). Per il resto, premiare per la migliore sceneggiatura Alpis di Yorgos Lanthimos è un segnale forte e coraggioso, così come la fotografia di Cime tempestose di Andrea Arnold, film imperfetto ma dalla potenza visiva impressionante. Bravo Aronofsky e brava la sua giuria.