ACAB, acronimo di All Cops Are Bastards. Motto coniato dal movimento skinhead inglese, e 40 anni dopo adottato dalla guerriglia urbana in piazza e negli stadi di tutto il mondo: dall'altro lato della barricata, i celerini, ovvero i “poliziotti bastardi”. Diretto da Stefano Sollima, il deus ex machina (da presa) di Romanzo criminale La serie, ACAB sta addosso a tre poliziotti di vecchia data, Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Marco Giallini, l'ex collega Andrea Sartoretti e una recluta, Domenico Diele, districandosi tra una professione che non è solo mestiere, ma ragione di vita: cameratismo e fratellanza, disciplina e rigore, e soprattutto il rispetto delle regole, regole che non sempre coincidono con la Legge.
Da venerdì 27 in 300 copie con 01 Distribution, liberamente ispirato al libro omonimo di Carlo Bonini edito da Einaudi (“Film assolutamente fedele allo spirito del romanzo”), “è un film di genere, intrattenimento intelligente, che vuole affrontare in modo laterale temi importanti della società, ma per me - ribadisce Sollima, che esordisce al cinema - è un poliziesco, come si facevano negli anni ‘70”. Se lo sceneggiatore - a sei mani con Barbara Petronio e Leonardo Valenti - Daniele Cesarano sottolinea come “la fisicità non è un modello di racconto, ma se la portano appresso questi celerini”, il produttore Cattleya Marco Chimenz dichiara che ACAB “è stato visto da esponenti della polizia, ma non c'è una reazione ufficiale: qualche celerino ha detto che “è la verità” del reparto mobile, altri più su di grado che non lo è, ma tutti hanno mantenuto distanza e distacco dal film”.
Dopo “tanti allenamenti di rugby e tecniche di difesa e attacco” per entrare in parte, Favino ha toccato con mano “la naturale aggressività dell'uomo: d'altronde, che sia la pistola del Libanese o il manganello di questo celerino, sono ruoli che ti cambiano”, mentre Nigro evidenzia come “il G8 abbia compromesso questi poliziotti” e come sia “umano rispondere con aggressività a  chi ti attacca”. Viceversa, “tra riso e tonno per mettere su muscoli, non ho avuto tempo per i pregiudizi”, dice Giallini e parla di “film duro”, mentre Sartoretti ha “percepito la tensione immensa che vivono i celerini, pagati per vivere una guerra civile quotidiana”.
D'altronde, prosegue Sollima, “raccontiamo l'odio nella società in cui viviamo, e non c'è criminalizzazione dei celerini, bensì mostriamo pezzi di storia, cose che sono esistite”. L'importante, conclude Favino, è “non relegare tra queste frange, ovvero poliziotti, ultras e rumeni, la violenza della società: vorrebbe dire scambiare morale con moralismo”.