“Oggi al Foro Italico giocherei con la maglia giallo azzurra dell’Ucraina”. Parola del mitico tennista Adriano Panatta che nel lontano 1976 vinse la finale di coppa Davis nel Cile del dittatore Pinochet.

“Una vittoria al centro di una feroce battaglia politica, contestata e che non era mai stata celebrata. Per questo pensavo che meritasse un’attenzione”, dice il produttore Domenico Procacci per la prima volta nelle vesti di regista nella docuserie Una squadra, al cinema il 2-3-4 maggio e dal 14 maggio su Sky distribuita da Fandango e Luce Cinecittà, con il patrocinio del Coni, di cui è protagonista Panatta e non solo.

Prodotto da Fandango, Sky e Luce Cinecittà, Una squadra racconta gli Amici miei del tennis, ovvero i quattro campioni che insieme hanno fatto la storia di questo sport: Corrado Barazzutti (“Potrebbe essere un Satta Flores”), Paolo Bertolucci (“un Tognazzi”), Adriano Panatta (“Gassmann”) e Tonino Zugarelli (“Manfredi”). In cinque anni- dal 1976 al 1980- hanno raggiunto la finale quattro volte, vincendo solo nel 1976 contro il Cile. Nel 1976 e nel 1977 la squadra ha come capitano non giocatore una leggenda del tennis italiano, Nicola Pietrangeli (“lui potrebbe essere un Fabrizi”, dice Domenico Procacci e il mister ottantottenne Pietrangeli, in collegamento telefonico perché ha una piccola frattura, dice: “Che deve fare un bravo capitano? Porgere l’asciugamano e aprire l’acqua minerale”), ritiratosi dall’attività agonistica solo da pochi anni.

The Team

Una docuserie che racconta una squadra a volte divisa e frammentata, con al suo interno rapporti difficili e conflittuali, sia tra i giocatori che con chi li guida e con chi li allena.

“Ho letto diversi libri sull’argomento e mi hanno portato a pensare che dietro questa storia ci fosse molto di più- dice Domenico Procacci, che ha scritto il film con Sandro Veronesi, Lucio Biancatelli, Giogiò Franchini-. Quella fu l’unica vittoria italiana in coppa Davis. Mi ha divertito molto raccontare loro quattro e le loro dinamiche. Ho giocato a cercare i contrasti. D’altronde se una storia non ha conflitti non è interessante”.

Tutti concordi e contenti che questa docuserie li abbia riavvicinati l’un l’altro. “Domenico è riuscito a riunirci, perché non ci eravamo più rivisti insieme- dice Paolo Bertolucci-. La prima volta che mi ha chiamato pensavo fosse uno scherzo telefonico. L’idea mi è piaciuta molto, anche se mi sembrava strano che dopo tanti anni tornasse in voga questa nostra storia perché non c’era mai stato un decennale o un ventennale”.

E Adriano Panatta: “Ognuno faceva il suo lavoro in città diverse e nessuno commemorava questa vittoria. Si può dire che Procacci ami il tennis più di sua moglie Kasia Smutniak. Ci ha fatto venire voglia di raccontare quello che avevamo vissuto. Abbiamo parlato più come uomini che come tennisti ed è venuta fuori la storia di quattro ragazzi con le proprie contraddizioni e i propri difetti, riuscendo nel lavoro di montaggio a far venire fuori le diverse personalità”. Poi Corrado Barazzutti: “All’inizio gli dissi di no perché non amo tornare al passato. Andare indietro nel tempo mi rende più triste che contento. Come diceva Adriano sono contento che ci siamo ritrovati e che sia stata resa giustizia dopo quella vittoria”.

All’epoca quella vittoria da molti, come Dario Fo, Franca Rame, Domenico Modugno e altri intellettuali soprattutto di sinistra, fu di fatto molto contestata. “Molti intellettuali avevano influenzato l’opinione pubblica dicendo che noi non dovevamo andare a giocare nel Cile di Pinochet. Questo è rimasto anche dopo la vittoria di coppa Davis. Certi media sono stati influenzati. E questo ha influito negli anni”, commenta Panatta.

Domenico Procacci (foto di Alberto Novelli)

E sull’attuale situazione e la scelta dell’Inghilterra di escludere gli atleti russi e bielorussi da Wimbledon dice: “È una forma di razzismo. È indegno e vergognoso non fare giocare questi due ragazzi russi (ndr. Daniil Medvedev e Andrei Rublev). Non capisco perché non possono fare il loro lavoro e giocare. Se poi vincessero e la famiglia reale fosse imbarazzata a premiarli ce ne faremo una ragione”. Sulla questione interviene anche Barazzutti: “È più importante mandare messaggi contro la guerra che non far giocare i russi e i bielorussi. C’è una grande contraddizione dietro tutto questo perché si mettono i veti agli sportivi, ma poi si continuano ad avere rapporti commerciali con la Russia comprando il gas. La politica deve essere coerente e non chiederci di comportarci in un determinato modo quando loro fanno esattamente il contrario”.