"L'essere umano è complesso, può nascondere al tempo stesso lati buoni e cattivi. Un jihadista è come noi, ma la sua vita è radicalmente cambiata. E io sono convinto che anche lui possa ancora avere qualcosa di umano". Il regista franco-mauritano Abderrahmane Sissako è sbarcato oggi sulla Croisette per presentare il suo nuovo film, Timbuktu, primo titolo in gara per la Palma d'Oro a Cannes 67. "L'idea del film - dice ancora il regista - è nata in seguito alla lapidazione di una coppia, in un piccolo villaggio in Mali. Mi ha colpito non solo l'accaduto, ma anche il fatto che nessuno ne avesse parlato: mi preoccupa che il mondo sta diventando indifferente all'orrore".
Timbuktu rievoca - già nel titolo - la grande e gloriosa città del Mali bagnata dal Niger, un tempo culla di una civiltà prospera: il film mette in luce questa contraddizione tra un passato glorioso, mitico e un presente condizionato dalla repressione dei jihadisti islamici. Che impongono nuove "regole" (i guanti per le donne, musica e pallone al bando...) e vigilano affinché le stesse vengano rispettate.
"Il compito di ogni regista - dica ancora Sissako - è quello di provare a portare in superficie argomenti magari ignorati dai mass media, soprattutto in territori come questi. Perché la terra non appartiene a nessuno, ma è di tutti. Un po' come questa storia".