Tra cinema e teatro Luigi Lo Cascio si muove benissimo. In questi giorni il regista attore siciliano, lanciato sul grande schermo da Marco Tullio Giordana nei Cento passi, ha presentato a Prato in prima nazionale il suo spettacolo teatrale Nella tana, un monologo complesso da lui scritto, diretto e interpretato, prendendo spunto dall'omonimo racconto di Franz Kafka, "uno dei miei scrittori preferiti insieme a Dostoevskij" dice. Per Lo Cascio è un periodo denso d'impegni anche cinematografici: ha da poco ultimato le riprese di due film, con Cristina Comenicini (che lo ha già diretto in Il più bel giorno della mia vita) e Roberta Torre, entrambi in predicato per la Mostra del Cinema di Venezia, e si appresta a girarne un altro in estate ancora top secret. Lo abbiamo incontrato a margine della prima di Nella Tana.

Ci racconta qualcosa di Mare buio?

E' un film sull'universo maschile e sul desiderio. Vesto i panni di un commissario di polizia che indaga sull'omicidio di una giovane donna che viene ritrovata morta in circostanze misteriose. Nel corso delle indagini, entro in contatto con ambienti strani, un po' loschi, dove scopro aspetti del mondo femminile a cui non avevo mai pensato e che mi disorientano e sconvolgono. Questo turbamento influisce molto sulla mia vita privata, in particolare sul rapporto con la mia donna, che è interpretata da Anna Mouglalis. Verso di lei sviluppo una forte gelosia, che si trasforma in  ossessione.

In La bestia nel cuore che ruolo interpreta?
Sono Daniele, il fratello di Giovanna Mezzogiorno, sono un professore di greco che vive da anni in Usa. Il film inizia con Giovanna che fa un sogno in cui torna con la memoria a quando era una bambina e viveva con me in famiglia. Turbata decide di venire a trovarmi in America per ricostruire insieme il significato del sogno e un po' tutta la sua infanzia. E' un film corale e tra gli altri interpreti ci sono anche Alessio Boni, Angela Finocchiaro e Stefania Rocca.

E per il futuro?
A luglio e agosto dovrei girare un film drammatico ambientato in Sicilia. Non è ancora definitivo, quindi per ora preferisco non aggiungere altro.

Cosa l'ha spinta in questo momento della sua carriera a tornare al teatro?
Mi piace leggere e scrivere, quando la vena mi accompagna, e quindi voglio coltivare questa passione che mi permette di lavorare su me stesso come autore e di mettere a punto le mie idee e i miei progetti. Cosa che nel cinema non sempre è possibile realizzare. Del raconto di Kafka mi  ha attratto la complessa architettura del pensiero del protagonista. Accade tutto nel presente e ciò permette di convocare immediatamente chi ascolta nello stesso luogo di chi parla, la tana appunto, che è dimora e ossessione nel contempo. E poi l'ho scelto perché è un discorso rivolto a se stessi che esclude l'altro. Da questo punto di vista è un testo anticomunicativo. Rappresentarlo è stata anche una sfida.