Nel mare agitato in cui navigano a vista le Fondazioni liriche italiane la navicella del Teatro dell'Opera di Roma tiene bene la rotta, e realizza la sua stagione senza scosse sindacali o crisi al vertice. Con successo è andata in scena, sul palcoscenico del Costanzi, Turandot di Giacomo Puccini, saldamente condotta sul podio dal M° Alain Lombard e con la regia di Giuliano Montaldo come elemento di forza spettacolare. Un allestimento, questo di Montaldo, che ha una lontana genesi telecinematografica, del tempo in cui il regista genovese diresse per la Rai Marco Polo, offrendo del contesto cinese del film immagini così minuziose e suggestive da attirare l'attenzione dei dirigenti della stagione all'Arena di Verona che subito gli proposero la regia della Turandot pucciniana. Per Montaldo la felice esperienza areniana fu il gran salto sul palcoscenico della lirica che altre soddisfazioni doveva dargli. Ma la vicenda della Principessa cinese si ritrova ancora nella sua carriera, per palcoscenici più tradizionali e meno spaziosi di quello veronese: fra cui il "Carlo Felice" di Genova nel 1993, dove Montaldo ridimensionò il disegno registico dell'Arena. Ed ora lo stesso allestimento si rappresenta all'Opera di Roma, con le scene di Luciano Ricceri e i costumi di Elisabetta Montaldo Bocciardo, severi nell'impasto cromatico ma anche fantasiosi nelle invenzioni favolistiche. E la Cina, con quel suo colore locale che così fortemente aveva sollecitato la vena musicale di Puccini - in pieno fermento di novità - risalta con grande smalto, specialmente nel movimento del "popolo di Pechino". Nel quale Montaldo inserisce azioni pantomimiche assai vivaci, coordinate da Hal Yamanouchi. Eccellente la fusione con la dinamica musicale cui il direttore Lombard conferisce energia e raffinatezza sia nell'effusione lirica che nelle arditezze timbriche. Ne risultano ben calibrati i lineamenti espressivi dei protagonisti: Turandot nel suo gelo sciolto dalla scoperta dell'amore, Calaf nella baldanza di conquistatore e la "piccola Liù" nel poetico fervore di vittima sacrificale. E le voci dei due cast che si avvicendano nelle recite (ultima l'11 maggio) hanno ben risposto all'impostazione direttoriale, senza differenze fra la "prima" e le repliche, equivalenti nella qualità dei cantanti, com'è uso lodevole del Teatro dell'Opera. Avendo noi avuto la ventura di ascoltare il secondo cast, possiamo sottolineare la buona tenuta di Lucia Mazzaria nell'ardua tessitura vocale di Turandot, il fraseggio passionale di Piero Giuliacci in Calaf e le morbidezze di Katia Pellegrino come Liù. Un elogio incondizionato merita il coro col suo direttore Andrea Giorgi.

foto: Corrado Falsini