“Le spie del grande schermo conoscono a memoria ogni tecnica di seduzione (non esiste donna che sappia resistere), padroneggiano tutti gli stili di combattimento e sono addirittura gentiluomini: hanno un’eleganza aristocratica e una vastissima cultura. Che cosa si può volere di più? La fantasia sovrasta la realtà, e per un paio d’ore abbondanti si dimenticano le preoccupazioni del quotidiano”, scrive Gian Luca Pisacane nell’articolo Yes I can, dedicato a Tom Cruise e alla fortunata saga di Mission Impossible. L’attore indossa per la sesta volta i panni di Ethan Hunt, l’agente segreto del superomismo americano in Mission: Impossible – Fallout, dal 29 agosto nelle sale italiane.

In realtà sono pochissimi gli agenti segreti in azione come inviati speciali. Gianni Riotta ne L’insostenibile pesantezza dello spione spiega che “Il cinema stenta a cogliere la natura dell’intelligence perché le spie vere son sedentarie, pochissimi vanno in giro a menare le mani, gli altri leggono alla scrivania informazioni e dossier come travet, non commando”.

Riotta ricorda Polgar (ultimo Capo della Cia a Saigon, durante il Vietnam): “Un uomo così dimesso, negli abiti e nei modi, da essere scambiato per un cartolaio. Mentre la città era in fiamme (Saigon n.d.r.), Polgar restò indietro a distruggere l’archivio delle spie americane. […] Calvo, occhiali da miope, accento ungherese mai perduto, era una vera spia, ma in che modo la si potrebbe portare, con realismo, sugli schermi?”.

 

E fu proprio la sconfitta subita in Vietnam dagli Stati Uniti a segnare il momento di crisi della originaria serie televisiva Missione Impossibile. Solo dopo decenni “La Paramount portò l’avventura al cinema con Brian De Palma dietro la macchina da presa, e fu un successo planetario, incassando quasi cinquecento milioni di dollari. Il sequel era d’obbligo. Mission: Impossible ha lanciato una tendenza, è diventato un punto di riferimento per i franchise futuri, come quello dello smemorato Jason Bourne di Matt Damon”, racconta ancora Gian Luca Pisacane.

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