“Non è una storia di malattia, ma una storia d'amore”. Parola di Eddie Redmayne, che interpreta il celeberrimo fisico teorico inglese Stephen Hawking in La teoria del tutto (The Theory of Everything) diretto dal regista James Marsh.
In cartellone al festival di Torino, dal 15 gennaio nelle nostre sale, sceneggiato da Anthony McCarten a partire dal libro di memorie Travelling to Infinity: My Life with Stephen di Jane Wilde Hawking, è un dramma biografico e romantic sulla relazione della Wilde con l'ex marito, passando dalla diagnosi della Sla ai suoi successi nel campo della fisica. Nel cast anche Felicity Jones (Jane Wilde), Charlie Cox, Emily Watson, Simon McBurney e David Thewlis, The Theory of Everything ha in Redmayne un, se non il, punto di forza ineludibile: “Anche io ho studiato a Cambridge, non fisica ma storia dell'arte, e Hawking mi capitava di vederlo al campus: ogni volta era attorniato dalla folla, aveva davvero l'aria di una rockstar”.
Per prepararsi al film, Redmayne ha letto La breve storia del tempo di Hawking, e non solo: “Davanti agli occhi mi è passato tutto quel che ha scritto, anche se non ho capito tutto: alla fine ho dovuto fare ricorso ad astronomiaperragazzi.com per capire le sue teorie scientifiche”. Sulla genesi della sua interpretazione, “ho inseguito la parte, ci sono volute due settimane per convincere regista e produttori: quando l'ho ottenuta, grande entusiasmo, ma subito dopo mi s'è chiuso lo stomaco per la difficoltà che il ruolo comportava”.
Ma come s'è preparato per il ruolo? “Sono andato in una clinica specializzata in Sla, una dottoressa mi ha descritto la malattia nei minimi dettagli, mi ha illustrato le fasi degenerative, poi ho incontrato 30-40 pazienti e loro famiglie, perché era importante conoscessi il costo emozionale ed emotivo di una patologia di questo genere, le conseguenze sulla vita familiare”. Non solo, l'attore inglese ha “visto tanti doc su internet, ma soprattutto ho incontrato Steven, Jane e i loro tre figli, ho apprezzato la loro personalità, il carisma, la forza d'animo e lo humour”.
Redmayne ha imparato “la fisicità di Hawking come se fosse una danza, era chiaro sia me a che a Felicity che nella vita di Stephen la malattia ha un ruolo secondario: non è una storia di malattia, ma d'amore. La sceneggiatura è uno studio sull'amore, sulle differenti possibilità amare: non solo l'amore giovanile o adulto, ma anche quello per la materia di cui ci si occupa, e i limiti del sentimento, i fallimenti”.
Dato tra i papabili per l'Oscar ed altri premi significativi, l'attore non ascolta “queste voci, non contano, sono effimere”, viceversa, dice di sentirsi “estremamente fortunato: quelle 30-40 persone mi dicevano che vivono in una prigione che ogni giorno si restringe di più, al contrario, io ogni sera avevo al fortuna di potermi alzare da quella sedia a rotelle. Non posso immaginarmi davvero la realtà quotidiana di chi vive in quella condizione”. Hawking ha deciso di rendere disponibile per il film la propria voce al sintetizzatore, che è coperta da copyright, “un dono – dice il suo alter ego finzionale – che ci ha consentito di essere ancora più vicini alla realtà: lui e Jane sono stati incredibilmente generosi, che abbiano visto e apprezzato il film è la nostra ricompensa più grande”.
Il prossimo film in cantiere, per la regia di quel Tom Hooper che l'ha già diretto in Les miserables, è The Danish Girl, sulla vera storia, di coppia, del primo transessuale di Copenaghen, ma per ora che cos'è La teoria del tutto per Redmayne? “A teatro mi capita di portare in scena un testo per mesi e mesi, e ogni sera cerco di migliorare la mia interpretazione: ecco, questa aspirazione per la perfezione nella consapevolezza di non riuscire ad ottenerla è la mia teoria del tutto”.