Come sta cambiando la filiera produttiva e distributiva dell’industria cinematografica e dell’audiovisivo più in generale? Che ruolo giocano, in questa partita, le piattaforme digitali globali come Netflix e Amazon Video nel ridefinire i confini e le regole del settore e le strategie degli attori in campo, dagli studios ai gestori delle sale, dai distributori al pubblico? E ancora, come devono comportarsi le istituzioni e gli organismi di garanzia nella sempre più centrale e complessa partita dei big data, che riguarda anche le offerte di cinema e serie on-line, e i loro spettatori?

Sono questi alcuni dei temi che hanno animato il convegno internazionale The International Circulation of National Cinemas and Audiovisual Content: the Challenge of Convergence and Multiplatform Distribution in the European Context, che si è tenuto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano lo scorso settembre.

Organizzato da Massimo Scaglioni, Emiliano Morreale e Paolo Noto, il convegno ha rappresentato l’atto conclusivo di un Progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) avviato nel 2017 sulla circolazione del cinema italiano nel mondo, a cui hanno partecipato, oltre alla Cattolica, anche l’Università degli Studi di Bologna, l’Università “La Sapienza” di Roma e l’Università della Svizzera Italiana (tutte le informazioni al sito italiancinema.it)

La conferenza è stata aperta da un keynote speech particolarmente denso e rilevante di Jennifer Holt, Professore di Media studies alla University of California Santa Barbara, sul tema Data Troubles: Digital Distribution in the Global Media Market; una relazione che ha scandagliato in profondità dinamiche, opportunità e limiti del “nuovo panorama della distribuzione”, caratterizzato dall’emergere di conglomerati mediali globali e da colossi del mondo digital e tech (quindi non solo Netflix e Amazon, ma anche Apple e Facebook…) progressivamente orientati a un ruolo di produttori e distributori, e non solamente di aggregatori di contenuti. In uno scenario segnato dalla “proliferazione degli schermi” e dalla possibilità di profilare (e quindi, “monetizzare”) i comportamenti dei consumatori in maniera sempre più dettagliata, talvolta anche inquietante, una delle questioni chiave per il futuro dell’industria cinematografica riguarda le cosiddette “windowing struggles”, le battaglie sui diritti e sulle “finestre” di visione che mettono in contrapposizione i proprietari e gestori delle sale (gli esercenti) e le piattaforme OTT, ma anche majors e artisti, come chiaramente evidenziato dal caso di The Irishman di Martin Scorsese, con un braccio di ferro senza precedenti che ha al centro proprio il tema della “theatrical release” negli Stati Uniti (che per Netflix, che ha prodotto il film, deve limitarsi a poche settimane prima della distribuzione on-line sulla propria piattaforma di streaming).

Ma l’intervento della Holt ha toccato anche altre questioni centrali per il futuro dell’industria culturale e mediale globale, come la necessità di affrontare dal punto di vista normativo e di politiche pubbliche il tema della protezione dei dati e di una “cultura dell’algoritmo”, creata da Netflix e simili, che ha un impatto notevole sull’orientamento dei gusti e delle scelte di consumo degli utenti e che va affrontata non soltanto con lenti giuridiche o economiche, ma anche dotandosi di strumenti e competenze specifiche all’altezza della sfida.

Nello scenario distributivo che si sta prospettando e che si consoliderà negli anni a venire, la funzione degli “intermediari”, in particolare, assume una valenza primaria; un concetto ribadito più volte e al centro di diversi degli oltre trenta interventi di studiosi e accademici di tutto il mondo che sono intervenuti al convegno.

Dai processi di disintermediazione della distribuzione digitale, sottolineati da Roderik Smits, alle sfide politiche ed economiche per la costruzione di un’audience transnazionale europea (per ora molto teorica) al centro della riflessione di Petar Mitric, dal potere dei cosiddetti “back-end intermediaries” (tutti gli attori che orientano, a loro volta, un consumo di cinema e audiovisivi sulle piattaforme digitali), studiati da Petr Szczepanik e Ira Wagman, al curioso caso delle proiezioni pubbliche e “alternative” di Sulla mia pelle, analizzato da Gloria Dagnino: il tema del rovesciamento e rimescolamento della catena classica della filiera nel settore cinematografico esplode in tutta la sua radicalità, con conseguenze che non abbiamo ancora compreso fino in fondo.

Il convegno ha gettato uno sguardo completo e sfaccettato sugli infiniti percorsi della circolazione dell’audiovisivo a livello globale. Dal ruolo dei festival come spazi di esibizione delle relazioni tra paesi e culture differenti (interessante il caso del festival di cinema italiano Les rencontres di Grenoble, presentato da Clizia Centorrino) alle riflessioni in chiave storica sulla diffusione dei film italiani all’estero, sembrano emergere tendenze di lungo periodo quali il radicamento della prossimità culturale nei modelli di distribuzione (con una destinazione privilegiata per il film italiano in Francia, Spagna o Svizzera, come evidenziato da Martina Lovascio) o la naturale marginalità e “invisibilità” del cinema italiano nei grandi flussi internazionali della circolazione, al centro dell’intervento di Dom Holdaway.

I documentari, le performance di attori non professionisti (analizzate da Catherine O’Rawe), il ruolo della commedia nazionale e dei generi prevalenti (è poi vero che la commedia non è in grado di circolare fuori dai confini nazionali?), le serie televisive italiane osservate dalla prospettiva della ricezione critica e di pubblico all’estero (su tutti, rilevante è il caso de L’amica geniale al centro delle relazioni di Paolo Braga ed Elisa Farinacci) hanno completato un quadro ricco ed esaustivo, al contempo punto d’approdo e di partenza per un dialogo sempre più necessario tra accademia e industria del cinema e dei media. In questo senso, proprio la tavola rotonda che ha chiuso la due giorni di convegno, con gli interventi di Giacomo Manzoli dell’Università di Bologna, Mario Gianani di Wildside, Nevina Satta presidente della Sardegna Film Commission e la regista Marina Spada, ha aperto una strada che non può che portare ossigeno e idee all’intero comparto: quali sono le vie che, da un lato, meglio riescono a valorizzare il cinema italiano all’estero e, dall’altro lato, portano a uno sviluppo di una produzione di livello internazionale in Italia (come nel caso delle serie che hanno definito una vera e propria new wave nazionale, da Gomorra a L’amica geniale)? Il dibattito è aperto, ed è solo all’inizio.