"Quando Chiara e Raoul sono venuti da me ho visto un padre e una madre che volevano fare qualcosa di importante per i giovani e per i loro genitori". Così il regista di documentari Roberto Burchielli descrive il primo incontro con la coppia Giordano-Bova, principale fautrice del progetto Sbirri. Il film (che uscirà venerdì 10 aprile con più di 200 copie per Medusa) tratta il problema della droga tra i ragazzi mettendo insieme stralci di fiction e di realtà, quella catturata a mo' di reportage seguendo le operazioni di una squadra di polizia di Milano.
"L'idea è nata da un'ansia di capire che c'era anche prima del film", spiega Bova, che con Sbirri voleva "vedere come avrebbe reagito una persona qualunque guardando negli occhi chi davvero spaccia o fa uso di stupefacenti, specialmente i ragazzi. Prima era relegata ad ambienti come i centri sociali, oggi invece la droga è diventata all'ordine del giorno. Ne fanno uso tutti, anche operai e commesse". Così l'attore ha deciso di portare a galla un'emergenza sociale per lui molto grave, scegliendo la formula del film sospeso tra finzione e documentario in modo da renderlo più spettacolare e "raggiungere un pubblico più ampio possibile".
Grazie alle precedenti esperienze di Burchielli, non è poi stato troppo difficile infiltrarsi nel lavoro degli agenti anti-droga: "L'importante era non intralciare le operazioni. Per il resto abbiamo avuto il pieno appoggio dalla Polizia, che sostiene il film come mezzo di sensibilizzazione ma che non intende in alcun modo usarlo come forma di pubblicità". Bova assicura infatti che l'intenzione non è affatto quella di esaltare il "poliziotto buono" ma di portare "se non in prima pagina, almeno in prima serata l'impegno di queste persone che credono nel loro lavoro e che una volta tanto possono portare ai giovani un messaggio positivo". Anche perché, confessa l'attore, "vedere in prima persona quello che fanno gli agenti ha una forza incredibile, molto più che girare qualsiasi film di genere. Quando tornavo in albergo la sera stavo male: mi manca il fiato pensando a quanto il problema sia sottovalutato e a come i giovani siano lasciati soli, senza mezzi di orientamento, come piantine nel deserto".