"Mi viene da contrapporre il reale al virtuale, e allora, in un'accezione così, il cinema del reale è quello che cerca di approfondire la realtà, di costruire, di riunire, di creare una coscienza, è fatto su molti ed è destinato a molti. Il cinema virtuale, invece, è quello dell'evasione, è molto individuale, ti lascia solo come ti ha trovato. Che la macchina da presa giri intorno alle cose che succedono per i fatti loro, è ben diverso che far succedere delle cose davanti alla macchina da presa! E' la mia visione "copernicana" del cinema...” (Vittorio De Seta)

Basterebbe questa sola affermazione a spiegare il senso del lavoro che, ormai da più di undici anni, svolge l’Apollo 11. Non è certo un caso, forse, che nel 2004 l’associazione abbia deciso di dedicare proprio a questo grande maestro del cinema italiano una ricca retrospettiva. È con De Seta, infatti, che ha inizio la lunga storia d’amore e d’amicizia col cinema del reale, tuttora in corso. E, parafrasando ancora De Seta, possiamo dire che all’Apolo 11 c’è stata una vera e propria “rivoluzione copernicana”. Non solo perché questi hanno “sdoganato il concetto di documentario”, proprio come ci hanno ricordato questa mattina durante l’incontro tenutosi presso la sede dell’associazione Agostino Ferrente (Regista, Fondatore e Presidente Apollo 11)  e Giacomo Ravesi (Curatore dell’edizione 2016 della rassegna), ma anche perché hanno restituito dignità ad un genere che sembrava averla persa. “Noi supportiamo quel cinema che gli altri non ritengono degno di essere supportato” – continua Ferrente mentre ripercorre la storia della nascita di questo straordinario circuito di aggregazione e divulgazione culturale. L’idea dell’Apollo 11, infatti, nasce dall’esigenza da parte di un gruppo di operatori culturali attenti a sensibili ai cambiamenti socio-culturali, “di vedere proiettati a Roma sul grande schermo dei film più coraggiosi, capaci di parlare del mondo di oggi”. Non solo cinema del reale o i cosiddetti “documentari”, la cui definizione è, forse, un po’ limitativa al giorno d’oggi. Un aspetto, questo, su cui ha posto l’accento Goffredo Fofi, ponendoci, come sempre, una riflessione critica di assoluta lucidità analitica. Fofi ha parlato del bisogno di “trovare una nuova definizione per questo cinema”, ricordando che negli anni ’60, si utilizzava l’espressione “cinema parallelo” per riferirsi ad un’idea di cinema diversa da quella più “popolare” ma non per questo meno incisiva. “Oggi, invece, la situazione è un po’ rovesciata. C’è un cinema del conforme, estremamente povero da un punto di vista artistico, dominato dal circuito del denaro. Poi, però, c’è anche un cinema parallelo, appunto, che osa di più” – spiega il critico – “Dovremmo ribaltare la situazione. Dobbiamo essere estremamente orgogliosi di questo cinema parallelo, che è il vero cinema, un cinema libero”.

Ed è su questa libertà espressiva che si è inserita anche la riflessione di Daniele Vicari, che ha affermato con forza che il solo circuito cinematografico all’interno del quale si è davvero sperimentato negli ultimi anni è proprio il documentario, dove quasi tutti i generi sono rappresentati – “Il doc è ed è stato un contributo essenziale allo sviluppo del nostro cinema”. Dello stesso parere è anche Costanza Quatriglio che ha descritto il documentario come “la linfa vitale del cinema italiano degli ultimi anni”. Un cinema che ogni giorno acquista sempre più forza proprio grazie al lavoro di strutture come queste che, negli anni, sono stati capaci di intraprendere un’operazione “educativa” non solo nei confronti del pubblico ma anche delle stesse realtà produttive e distributive. Proprio come ci ha ricordato la Quatriglio, anche lei cresciuta all’interno di questo spazio – “Prima noi cineasti del reale eravamo di 'contrabbando', ora sembriamo legalizzati anche se in modica quantità…”. Una minoranza, quella dei documentaristi, che per qualcuno deve rimanere tale come per Pietro Marcello, che ci ricorda che essere minoritari delle volte può essere bello, e per chi, invece, è fortemente contrario come Vicari che insiste sull’esigenza di andare oltre questa 'tendenza minoritaria'.

Ciò che ha unito un po’ tutti i partecipanti di questa intensa mattinata, da Andrea Segre – che ha anche illustrato il progetto dei laboratori in collaborazione con l’Apollo 11 – ad Antonietta De Lillo, passando per Anna Maria Granatello (regista e Direttrice artistica del Premio Solinas) e Luca Ragazzi, fino al “polemico” Gianfranco Pannone è che quella che ormai è ufficialmente riconosciuta come la “Casa del documentario” deve continuare a rimanere un punto di riferimento per il cinema del reale. Il tutto, però, non si deve risolvere nella sola proiezione, nel “singolo evento”, ma è necessario che ci sia una programmazione, che si tengano corsi e laboratori al fine di far crescere sempre di più quel cinema che spesso viene dimenticato, negandogli il valore che merita. E, proprio con questo intento, è stato presentato nuovamente il programma Racconti dal vero – Racconti dal mondo, in cui tutte le settimane vengono proposti documentari d’autore e di creazione italiani e internazionali - una sorta di Festival permanente del cinema documentario a Roma, con incontri dedicati ai giovani autori o ai cineasti esperti.

Alla mattinata hanno partecipato anche i registi Mario Balsamo, Luca Ragazzi, Federica Di Giacomo e l’Associazione dei documentaristi italiani Doc/it.