"Tra me e lei non ci sono grandi somiglianze, ma una forte empatia sì: quando scegli un ruolo è quasi inevitabile". Così Helen Mirren, diventata la contessa Sofja, moglie del grande Lev Tolstoj (interpretato da Christopher Plummer), nella prima pellicola in costume del concorso romano, The Last Station. "Mi ha conquistato lo script, i suoi dialoghi e tutti quei cambi di costume. Era tutto fantastico!", aggiunge l'attrice britannica. Scritto e diretto da Michael Hoffman (Sogno di una notte di mezza estate, Un giorno per caso), che ha adattato l'omonimo romanzo di Jay Parini, il film narra, attraverso il punto di vista di Valentin Bulgakov (James McAvoy), segretario di Tolstoj, le traversie familiari della coppia più chiacchierata della Russia d'inizio novecento. Dopo 43 anni di matrimonio, la contessa scopre con orrore quanto sia cambiato lo scrittore. Tolstoj ha da poco fondato - assieme all'amico Chertkov - un movimento che porta il suo nome ed è ispirato a uno stile di vita monastico: niente proprietà privata né titoli nobiliari, castità e trasferimento dei propri averi e diritti (compresi quelli sulle opere) ai bisognosi. Sofja non ci sta e inizia una guerra contro i consiglieri del marito e il movimento (e il marito), una guerra che metterà in discussione sentimenti,principi e questioni patrimoniali. "Non bisogna giudicarla - interviene Hoffman -. Come vi sareste sentiti voi se dopo 43 anni di assoluta devozione e complicità, il vostro compagno diventasse d'improvviso un altro? Sofja sente che la sua vita le è stata strappata e reagisce con le unghie e con i denti per riprendersela". E, aggiunge la Mirren, "bisognerebbe essere donne di quel tempo per comprendere le sue motivazioni". Un ruolo forte, quello dell'interprete, che potrebbe valerle una candidatura all'Oscar: "I bei ruoli femminili sono talmente pochi, che ogni volta che ne viene fuori uno voi giornalisti lo date subito in corsa per l'Oscar. Sono cose che fanno piacere,per carità, ma poco credibili". La Mirren ribadisce di preferire la tv ("Propone parti più interessanti) e respinge al mittente le accuse di snobismo: "I premi sono importanti, ma mi preme di più che il film sia visto da tante persone, perché ha molto da dire a tutti. "Volevo raccontare in fondo - dichiara il regista - quanto complicato sia vivere con e senza l'amore. La storia che avevo a disposizione era un'ottima storia, e avrebbe funzionato anche se il protagonista non fosse stato Tolstoj". Finanziato anche da Andrei Konchalovsky, The Last Station si è avvalso della collaborazione degli eredi di Tolstoj: "Sono stati molto disponibili e ci hanno messo a disposizione i filmati familiari del vero Tolstoj, di straordinario impatto: vi si coglie l'estrema fragilità di un uomo grandioso e all'apice della fama. Era in fondo l'idea del mio film, nato da questa semplice interrogativo: come può un uomo che ha insegnato a vivere a milioni di persone non essere in grado di gestire le proprie relazioni familiari?".