Finalmente… Totoro. A 21 anni dalla realizzazione, arriva (domani in sala con Lucky Red, oggi in anteprima al Manga Impact torinese) l'animazione del premio Oscar e Leone d'Oro alla carriera Hayao Miyazaki. Regista, sceneggiatore, animatore e produttore, il “Walt Disney giapponese” aveva debuttato alla fine degli anni '70 con le serie Conan ragazzo del futuro e Lupin III: proprio il celebre ladro ladruncolo sarebbe stato protagonista nel 1979 del suo primo lungometraggio, Il castello di Cagliostro, seguito cinque anni dopo da Nausicaä della valle del vento, tratto dal manga omonimo da lui stesso creato.
Sarebbero serviti altri quattro anni per Il mio vicino Totoro (1988), anche questo ispirato dal manga firmato a quattro mani con Kubo Tsugiko (edizioni Panini Comics): protagoniste due sorelline al battesimo nel mondo fantastico partorito dalla penna di Hayao. Satsuke e la piccola Mei si trasferiscono con il padre in una decrepita e “stregata” casa di campagna, per stare vicino alla madre ricoverata in ospedale: le due sorelle scoprono che il verde in cui è immersa l'abitazione è popolato da creature magiche chiamate Totoro. Tra “orsacchiotti” buffi e indolenti e gatti in corriera, vivranno fantastiche avventure...
Potenza dell'animazione e, soprattutto, della fervida e fantasmagorica immaginazione di Miyazaki, che a Totoro ha concesso la vetta del proprio Pantheon artistico: il logo dello Studio Ghibli, la factory creata nel 1985 (il nome viene dal Caproni Ca.309 Ghibli, aereo italiano della II Guerra Mondiale, capace di irretire il Miyazaki appassionato di aviazione) che ha siglato un accordo distributivo per l'Italia con Lucky Red.
Onore al merito, dunque, ma Totoro non è, non era ancora, il Miyazaki che conosciamo e celebriamo oggi: nonostante avesse già diretto il quasi capolavoro Nausicaä, il numero uno dell'animazione mondiale – parola di uno che se ne intende, John “Pixar” Lasseter - doveva ancora rodare la cifra poetico e stilistica della sua arte.
Il mio vicino Totoro ha una storia semplice, se non semplicistica, discreta partitura swing del sodale Joe Hisaishi, personaggi affascinanti - i Totoro, appunto, e le due sorelle - accanto ad altri fuori fuoco e incolori - i genitori e la “nonnina” - ma soprattutto sconta, con 21 anni sulle spalle, un'esibita povertà stilistica: ai minimi termini è la cinesi dei caratteri, stigmatizzata la fissità mono-dimensionale degli sfondi.
Poco male, se i Leitmotiv del regista di Porco rosso (1992), Principessa Mononoke (1997), La città incantata (2001, Oscar miglior film d'animazione e Orso d'Oro), Il castello errante di Howl (2004) e Ponyo (2008) sono più che in nuce: infanzia, fantastico, Natura, famiglia, diversità e tolleranza iniziano a fissarsi sulla carta e sulla pellicola.
Correva l'anno 1988, piccoli geni della matita crescevano...