Due anime un po’ smarrite. Sono Maryam (Duné Medros) e Hesam (Alireza Garshasbi). Entrambi, iraniani che vivono a Roma e lavorano insieme a un documentario su una donna senzatetto, finiranno per innamorarsi. Ma stare insieme non sarà semplice soprattutto nel momento in cui la gelosia di lui prenderà il sopravvento e i silenzi prenderanno piano piano il posto delle parole.

È Verso la notte, opera prima di Vincenzo Lauria, presentata nel 2020 alla sessantaseiesima edizione del Taormina Film Fest nella Sezione Indieuropea dove ha vinto il Premio del pubblico di Mymovies e ora in uscita dal 9 dicembre nelle sale distribuita da Cineclub Internazionale.

Vincenzo Lauria

“Ho cercato di ricostruire i fatti come un ribollimento di memoria, aspettative e risentimenti- dice il regista, che ha anche scritto la sceneggiatura di questo film-. Ho raccontato la vita interna di Hesam e la sua coscienza tentando poi di rielaborarlo in qualcosa di comprensibile. Per la storia ho preso spunto dal mio vissuto personale, ma ho anche attinto dal vissuto di altri, mettendoci dentro cose condivise con altre persone”.

E Duné Medros dice: “Ho fatto un collage di storie che conosco per entrare nella parte di Maryam. Un personaggio che per certi versi è molto simile a me perché cerca qualcuno con cui condividere i suoi interessi. Ma per capirla meglio ho scritto anche una sorta di diario su di lei. Con Alireza Garshasbi è stato semplice trovare l’alchimia perché ci conoscevamo già da tempo. Non è solo lui ad essere perso, anche Maryam lo è e non ha ben chiaro cosa vuole. Lui è uno insicuro, vive un disagio più economico e di posizione sociale, mentre lei ha un disagio interiore. Questa diversa condizione e provenienza sociale inciderà poi sulla loro storia d’amore”. E Alireza Garshasbi aggiunge: “La nostra recitazione e lo stile doveva essere molto naturale. Infatti il film è girato con la macchina a mano e con attori non professionisti”.

Anche la Roma che viene fuori nel film è in qualche modo più autentica di quella che normalmente siamo abituati a vedere sul grande schermo. Una Roma sfocata, senza una precisa volontà di avere una forte connotazione. “I luoghi sono quelli del vissuto dei personaggi- dice il regista-. È la Roma che ho vissuto quando ero uno studente, quella della periferia, dei portici di Stazione Termini e delle attese alle fermate degli autobus durante la notte”.

Infine conclude: “Spesso mi è stato chiesto se questo era un film sull’integrazione. Per me questo è un film sulla comunione. Mi devo ricordare che c’è una diversa provenienza, quella italiana e quella iraniana, nonché che sono usate due lingue diverse: l’italiano e il persiano, ossia il farsi”.