"Il nostro è un film con un messaggio di pace, che racconta come il dolore condiviso possa davvero unire due persone e che tenta di riflettere sul pregiudizio di cosa si considera normale e cosa diverso: alla fine, credo sia palese, la diversità non può essere intesa altrimenti se non come motivo di crescita". Così Ricky Tognazzi introduce Il padre e lo straniero, tratto dall'omonima opera letteraria di Giancarlo De Cataldo, adattato per lo schermo dallo stesso autore, insieme al regista, a Simona Izzo, Graziano Diana e con la collaborazione di Dino Giarrusso.
Prodotto dalla Ager 3di Grazia Volpi insieme a Rai Cinema, il film - stasera Fuori Concorso al Festival, dal 18 febbraio in sala con 01 distribution - racconta la storia di Diego e Walid, due uomini "uniti" dall'handicap dei rispettivi figli che impareranno dapprima a conoscersi, poi a diventare amici. E proprio grazie alla conoscenza dell'altro, dell'arabo Walid, Diego riuscirà a conoscere nuovamente se stesso, ritrovando familiarità con quanto, fino a quel momento, sentiva "estraneo" da sé, la paternità in primis: "L'amicizia, proprio come l'amore, è un sentimento centrale, decisivo anche nella mia vita reale - dice Alessandro Gassman, Diego nel film - e non è stato difficile immedesimarsi nel personaggio. Lo è stato molto di più riuscire a dosare in egual misura la credibilità per tutto il corso del racconto, il fatto di essere praticamente in ogni scena, cosa per me tutto sommato nuova, soprattutto dal momento in cui il film inizia a tingersi di 'giallo'". Perché ad un certo punto Walid (l'attore egiziano Amr Waked) scompare e Diego dovrà scegliere: rassegnarsi all'idea che si tratti di un pericoloso personaggio legato a qualche particolare intrigo internazionale, o rischiare in prima persona, anche a costo della vita, per andarlo a cercare: "Quest'uomo potrebbe essere un terrorista, ma Diego non si pone minimamente il problema - spiega la co-sceneggiatrice Simona Izzo - perché l'amicizia lo porta ad escludere il pregiudizio. L'amicizia con Walid, oltretutto, lo aiuterà ad accelerare quel processo di paternità che era in qualche modo bloccato: del resto non si nasce padri, si nasce figli. A differenza delle donne, che nascono madri e muoiono madri". Proprio come il personaggio di Lisa, interpretato da Ksenya Rappoport, moglie di Diego che giorno dopo giorno si annulla completamente per il figlio: "Nel film raccontiamo come il dolore possa sì unire due persone, farle diventare amiche, ma anche quanto il dolore possa dividere all'interno di una famiglia", dice ancora Tognazzi. Al quale si unisce l'autore Giancarlo De Cataldo: "Soprattutto in Italia, le famiglie che hanno questo tipo di problemi sono drammaticamente e vergognosamente lasciate sole, abbandonate a loro stesse: nel nostro Paese facciamo ridere rispetto alle vere, concrete reti di solidarietà umana che possiamo trovare in molti altri luoghi, ad iniziare proprio dai paesi islamici. Se questa storia - che ho scritto molti anni fa partendo dalla mia situazione autobiografica, un padre con una figlia disabile - riuscisse a far riflettere e a far comprendere che alle volte anche grazie ad un sorriso, al calore di un rapporto umano, migliorerebbero molte cose, avremo raggiunto il nostro obiettivo: il 'soffio' che Walid fa sul viso del piccolo Yusef, suo figlio, in fondo, è proprio quello che ogni genitore di un bambino gravemente handicappato compie nel momento in cui tenta di avvicinare il mondo a chi altrimenti sarebbe costretto a rimanere in un presente eterno, che non ha futuro".
Oltre al film, ovviamente, durante l'incontro con la stampa l'attualità di questi giorni ha preso il sopravvento: "Come sceneggiatore, scrittore, magistrato, cittadino italiano sposo pienamente il senso della protesta dell'altra sera sul red carpet - conclude De Cataldo - e spero davvero ci continuino a chiamare 'faziosi', perché la cultura è la fazione della bellezza in Italia". "Credo sia davvero indecente che la Rai produca opere nazionali all'estero per risparmiare - dice Simona Izzo - e quello che la gente deve capire è che la nostra mobilitazione non è solo mirata a salvaguardare gli interessi di chi, come la sottoscritta, per fortuna riesce a vivere anche facendo altro oltre al cinema, ma è finalizzata a tutelare tutte le maestranze, che lavorano nel settore, senza le quali è impossibile realizzare i film e per le quali il cinema rappresenta l'unica fonte di lavoro". In merito alla Rai, Carlo Brancaleoni puntualizza: "Siamo solidali con la protesta dei lavoratori del cinema ma questo film è stato girato in Italia e la Rai dovrebbe essere salvaguardata, come patrimonio nazionale, anziché essere attaccata con violenza come ormai, purtroppo, accade quotidianamente".