"Il dubbio è un legame tanto forte quanto lo è la certezza". Il sermone di padre Flynn (Philip Seymour Hoffman) in apertura di film è eloquente e programmatico tanto quanto il titolo della pièce teatrale che lo stesso John Patrick Shanley ha portato poi sullo schermo, in Italia dal 30 gennaio distribuito da Disney e candidato a 5 premi Oscar (4 nomination per gli interpreti). Ed è proprio Il dubbio, macigno a volte così irremovibile, a regolare le azioni e le emozioni dei tre protagonisti principali della vicenda.

Sullo sfondo, la ventata di cambiamento politico e sociale negli USA all'indomani dell'uccisione del presidente Kennedy. Al centro, il microcosmo di un istituto scolastico religioso diretto dall'austera Sister Aloysius (Meryl Streep), che inizia una personalissima "crociata" contro il più riformista padre Flynn non appena la giovane Sister James (Amy Adams) le confida che a suo avviso l'insegnante presti troppe attenzioni nei confronti del dodicenne Donald Miller, primo studente di colore nella scuola.

"Quello che volevo - spiega Shanley - era contrapporre lo stereotipo della suora dura, maniaca della disciplina, alla figura di padre Flynn, sfidando in qualche modo lo spettatore: sin da subito si insinua il sospetto che lui possa essere un molestatore, ma quello che conta è che fino alla fine - e oltre - il pubblico non avrà strumenti per poterlo realmente giudicare, di fatto come Sister Aloysius, che senza alcuna prova continua a battersi sospinta dal pregiudizio morale. E come il vento della modernità che in più di un'occasione la 'schiaffeggia', così vorrei che alla fine le idee preconcette dello spettatore venissero scosse e, al tempo stesso, che si ritrovi in una sorta di limbo, a sperimentare il presente come fosse il futuro, sopraffatti dalla nostalgia per quello che inevitabilmente si perde e scioccati dall'arrivo del nuovo".

Spunto autobiografico - "ma solo per quello che riguarda l'ambientazione e il periodo" - e seconda regia cinematografica a 18 anni di distanza da Joe contro il vulcano: "Dopo quel film - continua Shanley, che nell'88 vinse l'Oscar per lo script di Stregata dalla luna (e ora torna a concorrere per la migliore sceneggiatura non originale, ndr) - dissi di no a Scott Rudin che mi chiese di dirigere un film prodotto da lui. Poi si è rifatto sotto, proponendomi di portare sullo schermo la pièce teatrale. Ho accettato, anche se all'inizio non è stato facile: sul palcoscenico tutto si risolveva con quattro attori, al cinema non poteva essere così. Ed è stato un bene: solamente così, lontano dalle ristrettezze economiche del teatro, ho potuto dare un volto al bambino, far vedere come vivevano le suore, i loro comportamenti: inscrivere di fatto tutta la vicenda in un contesto che potesse parlare anche senza l'ausilio delle parole".