Noi credevamo

- Regia:
- Attori: - Domenico, - Angelo, - Cristina di Belgiojoso, giovane, - Angelo da giovane, - Domenico da giovane, - Salvatore, - Sigismondo di Castromediano, - Carlo Poerio, - Felice Orsini, - Simon Bernard, - Carlo Rudio, - Antonio Gomez, - Saverio, - Don Ludovico, - Giuseppe Mazzini, - Antonio Gallenga, - Emilie Ashurst Venturi, - Francesco Crispi, - Saverio o'trappetaro, - Carmine, - Cristina di Belgioioso, - Attore della Vicaria, - Attore della Vicaria, - Maresciallo Del Carretto
- Soggetto: Anna Banti - (romanzo), Giancarlo De Cataldo, Mario Martone
- Sceneggiatura: Mario Martone, Giancarlo De Cataldo
- Fotografia: Renato Berta
- Musiche: Hubert Westkemper - Brani di: Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini eseguite dall'Orchestra sinfonica della Rai di Torino diretta da Roberto Abbado.
- Montaggio: Jacopo Quadri
- Scenografia: Emita Frigato
- Costumi: Ursula Patzak
- Suono: Gaetano Carito - (presa diretta), Maricetta Lombardo - (presa diretta)
- Durata: 170'
- Colore: C
- Genere: DRAMMATICO, STORICO
- Specifiche tecniche: 35 MM
- Tratto da: liberamente ispirato a vicende storiche realmente accadute e al romanzo di Anna Banti "Noi credevamo" (ed. Mondadori)
- Produzione: CARLO DEGLI ESPOSTI, CONCHITA AIROLDI E GIORGIO MAGLIULO PER PALOMAR IN COLLABORAZIONE CON FELTRINELLI, RAI CINEMA, RAI FICTION IN COPRODUZIONE CON LES FILMS D'ICI, CON LA PARTECIPAZIONE DI ARTE FRANCE
- Distribuzione: 01 DISTRIBUTION (2010) - DVD: 01 DISTRIBUTION HOME VIDEO (2011)
- Data uscita 12 Novembre 2010
TRAILER
RECENSIONE
Bisogna risalire molto indietro nei decenni per trovare un altro film italiano capace di coniugare, in maniera altrettanto compiuta ed esteticamente convincente, l’efficacia della ricostruzione storica, la lucidità nel ribaltare i cliché che hanno accompagnato la nostra formazione civile e sociale, la piena e a tratti persino sorprendente capacità di condurre un discorso sul passato che si riverbera e riflette nel nostro presente, la felicissima intuizione creativa che consente a Martone di coniugare una narrazione di rara potenza espressiva con una direzione di attori che ha del miracoloso.
Spieghiamoci meglio. Il terreno era minato, l’insidia dietro l’angolo. I film di ambientazione storica sono spesso poco credibili, si confrontano con problemi di verosimiglianza e autenticità quasi irrisolvibili. Pochi registi (Rossellini, Visconti, Rohmer…) avevano dato l’impressione di aver trovato la chiave di un segreto, se non gelosamente custodito di certo non facilmente trasmissibile. L’Italia di Martone ci appare invece quanto più possibile vicina al Paese che fu nei quattro decenni compresi fra il 1822 e il 1862. O, perlomeno, di come si possa immaginare che fosse, visto che nessuno di noi c’è mai stato veramente. Rendere credibile una ricostruzione, dal punto di vista estetico, però non basta. L’autore di Noi credevamo ha avuto il coraggio di scavare nei sedimenti di una vulgata storica dove l’ideologia, le censure e le rimozioni avevano finito col depositarsi, confondendosi con l’oggettività degli eventi. Rimuovendo la patina degli stereotipi, Martone compie la più radicale, polemica e temeraria rilettura di un periodo decisivo per la storia del nostro Paese. Lo fa con l’ottica di uno storico documentato e insensibile alle lusinghe della pura e semplice celebrazione, trasformando il suo lavoro nel più serio, importante e onesto contributo alle rievocazioni inscenate in occasione del Centocinquantenario. Con la passione civile di chi scopre nel passato i germi della degenerazione del presente, non accontentandosi di guardare all’indietro ma facendo della radiografia storica una straordinaria occasione di riflessione sull’oggi. Con l’emozione dell’artista che, sapendo di mettere in scena il dramma di una generazione che pagò un enorme contributo di dolore e sangue agli ideali del’unificazione del Paese, non esita a farne lo specchio della sua stessa generazione (quella nata e formatasi con gli slanci ideali del ’68).
NOTE
- RICERCA ICONOGRAFICA E MUSICALE: IPPOLITA DI MAJO.
- IN CONCORSO ALLA 67. MOSTRA INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI VENEZIA (2010).
- LA DURATA INDICATA E' RELATIVA ALLA VERSIONE DISTRIBUITA IN SALA. LA DURATA DELLA VERSIONE PRESENTATA A VENEZIA E' DI 204 MINUTI.
- NASTRO D'ARGENTO 2011 COME MIGLIOR FILM E NASTRO DELL'ANNO A: MARIO MARTONE (REGIA), RAI CINEMA, CARLO DEGLI ESPOSTI PALOMAR, CON GIORGIO MAGLIULO, CONCHITA AIROLDI (PRODUZIONE), GIANCARLO DE CATALDO (SCENEGGIATURA), E IN RAPPRESENTANZA DEL CAST A LUIGI LO CASCIO, ANDREA BOSCA, EDOARDO NATOLI, LUIGI PISANI, MICHELE RIONDINO.
- DAVID DI DONATELLO 2011 PER: MIGLIOR FILM, SCENEGGIATURA, DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA, SCENOGRAFO, COSTUMISTA, TRUCCATORE (VITTORIO SODANO) E ACCONCIATORE (ALDO SIGNORETTI). ERA CANDIDATO ANCHE PER: MIGLIOR REGISTA, MONTATORE, FONICO DI PRESA DIRETTA, DAVID GIOVANI.
CRITICA
"Il titolo 'Noi credevamo' è quello di un romanzo di Anna Banti: ogni speranza e promessa del Risorgimento delusa, tradita. È la storia di una sconfitta, un film tragico (...) È un film di gente giovane, di ragazzi rivoltosi: questo, insieme con le alte idealità del Risorgimento, gli dà una bellissima vitalità, grande energia. I temi discussi sono appassionanti, lo stile sembra troppo posato e teatrale. Il risultato è molto, molto interessante: Martone ha colto un'occasione storico-celebrativa per raccontare verità storico-scomode sul nostro Paese, con una serie insistente di allusioni al nostro presente; ha quindi svolto un'esemplare funzione culturale. Peccato che lo stile e i costumi degli attori appartengano invece ai modi più convenzionali dei fotoromanzi televisivi." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 12 novembre 2010)
"Una controstoria del Risorgimento articolata in quattro episodi della durata cinematografica di tre ore, dopo che 35 minuti sono stati limati rispetto alla proiezione alla Mostra di Venezia, dove il film partecipava in concorso. (...) Nel suo intento antiretorico Martone accantona ogni spettacolarità, evita ogni respiro epico e sceglie di sottrarre alla vista del pubblico episodi chiave del Risorgimento: una scelta etica, oltre che artistica, ma di elevato rischio comunicativo, prima ancora che commerciale. E se il regista riesce a sottrarre figure come Mazzini o Crispi all'iconografia da sussidiario, pecca talvolta di eccessivo rigore didascalico nei dialoghi, facendo presagire che 'Noi credevamo' funzionerà al meglio sul piccolo schermo, nel solco della grande televisione didattica di Roberto Rossellini. Tanto più che la distribuzione in sala in sole 30 copie ne riduce di fatto al minimo la visibilità che merita." (Paola Casella, 'Il Sole 24 Ore', 12 novembre 2010)
"Parte dal Sud il Risorgimento di 'Noi credevamo', tratto dall'omonimo romanzo di Anna Banti. (...) L'Unità d'Italia viene tutta dal basso, dai cospiratori e dalle camicie rosse. Al punto che in quasi tre ore di film (versione più breve rispetto all'originale) Cavour non compare mai, mentre Garibaldi s'intravede appena. Su una griglia di documenti e testi autentici, il regista sviluppa per quadri successivi la storia dei tre giovani che appaiono più degli avventati temerari che dei coscienti patrioti. (...) Curato nei costumi e nelle scenografie, dove il regista ha voluto inserire il carcere di massima sicurezza di Saluzzo nel quale viene ghigliottinato uno dei cospiratori, e la struttura di cemento armato che deturpa la spiaggia del Cilento, il polpettone stenta ad avvincere nel tentativo di romanzare il sussidiario. Un'opera non ideologica in senso stretto, come ha ribadito il regista. Ma di sicuro cosparsa di lezioncine rivolte all'attualità." (Maurizio Caverzan, 'Il Giornale', 12 novembre 2010)
"Il Risorgimento come 'passato che non passa', radice se non specchio deformato del nostro presente, album di famiglia già dotato di tutti i tipi e le tendenze che popolano la vita pubblica italiana. (...) 'Noi credevamo' non è solo un magnifico affresco che rovescia come un guanto ciò che credevamo di sapere sulla nascita della nostra nazione rendendo queste figure più vive che mai. È una rassegna commossa e insieme spietata di intrighi ed orrori, occasioni mancate e lotte fratricide, che scava nell'eterna distanza fra Nord e Sud, aristocratici e borghesi, estremisti e moderati, monarchici e repubblicani. Tre ore di film, quattro atti, trent'anni di storia e di storie, un gruppo di amici del Cilento che spera, lotta, invecchia, si divide, sprofonda nella follia o nel disincanto." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 12 novembre 2010)