Il titolo dice tutto. Dice del vedere il film, e dice del voi a cui è indirizzato: quel voi siamo noi, ma anche Carlo Maria Martini ed Ermanno Olmi. In realtà, abbiamo un dubbio, ed è in quel sono: non è prima persona singolare, ma terza plurale, sono Olmi e Martini insieme.

Il documentario è Martini secondo Olmi, ma anche Olmi secondo Martini, e dunque Martini e Olmi secondo noi spettatori e viceversa: non casualmente, il controcampo è sovente campo, e sempre ineludibile, ed è la Storia. vedete, sono uno di voi passa in rassegna il nazifascismo, dall’ora delle decisioni irrevocabili del 10 giugno 1940 al cadavere di Mussolini preso a calci in testa a Piazzale Loreto, gli anni di piombo e le vittime del terrorismo, quali Vittorio Bachelet e Aldo Moro, Tangentopoli e la discesa in campo di Berlusconi, che perlustra l’hinterland a scopo edilizio e viene tallonato dall’Olmi che sferza in voce over la “Milano infestata da tre pestilenze: solitudine, corruzione e violenza”.

 

Si riafferma, senza tema di smentita, come non sia possibile essere uomini, sacerdoti, pastori, registi senza essere nel mondo: farsi prossimo alla Storia, senza essere del mondo, farsi – Martini – punto focale per credenti e non credenti, ovvero cristianamente farsi Uomo.

Nato da famiglia torinese altoborghese il 15 febbraio del 1927, novizio nella Compagnia di Gesù appena diciassettenne, dottore in teologia alla Gregoriana, entrando in Duomo il 29 dicembre del 1979 Martini ancora “non sapeva – dice Olmi - che cosa fosse una lettera pastorale, perché era un uomo di scienza. Ma subito comprese come calcare le strade dell’umanità fosse in quel momento più importante di ogni libro”.

 

Una comprensione in Cristo e per Cristo che Olmi riconsegna sullo schermo con un documentario semplice e profondo, radicale e commovente, in cui il vedere (il mondo) e l’appartenere (al genere umano) sono viatico democratico, anelito di giustizia, prospetto di pace. Lontano dal santino, dentro la fede: Carlo Maria Martini, uno di noi.