Alberto Moravia o, meglio, l’opera di Alberto Moravia come catalizzatore di narrazioni (e al rogo lo storytelling) in giro per il mondo. Traduttori, studenti, registi (Bertolucci e non solo) gente comune che, a un certo punto della propria vita, è entrata in contatto con gli scritti del grande autore del Novecento italiano e, sulla base dell’impulso umano a raccontare e sulla scorta dell’elaborazione letteraria moraviana, ha sviluppato la propria storia e la propria riflessione sull’esistenza. Tra chi traduce Moravia a Berlino e chi, a Pechino, si commuove per la meraviglia di riconoscere i protagonisti dei Racconti romani nella povera gente della capitale cinese, il filo rosso che parte dalla pagina scritta per divenire immagine è vivo e pulsante.

Pre-apertura della XII Festa di Roma, il documentario diretto da Luca Lancise si segnala per l’originalità dell’approccio e ci invita al confronto con l’alterità, con l’altro-da-sé veduto e considerato in rapporto alla ricezione, sociale e individuale, di un’opera letteraria e del suo potenziale mitopoietico da parte di un pubblico straniero. Un ambito, quest’ultimo, sviscerato a fondo da parte degli italiani, popolo di traduttori ed esterofilo per eccellenza, ma all’interno del quale è spesso fin troppo facile smarrirsi, trovandosi “persi nella traduzione” di qualcosa che non è più nostro né “altro”, ma solo magma indistinto di segni gettati nel mare magnum dell’universo della comunicazione.